Pentagon identifies two U.S. soldiers killed in Afghanistan

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The Defense Department on Thursday identified two U.S. Army soldiers who died Wednesday as Master Sgt. Luis F. DeLeon-Figueroa and Master Sgt. Jose J. Gonzalez.

DeLeon-Figueroa, 31, of Chicopee, Mass., and Gonzalez, 35, of La Puente, Calif., were assigned to 1st Battalion, 7th Special Forces Group, and were killed in Faryab Province, Afghanistan, by small arms fire. The incident is being investigated, according to the Pentagon, which did not disclose the affiliation of who is believed to have killed them.

The two were in the country supporting the ongoing NATO mission Operation Freedom’s Sentinel.

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The announcement of the deaths Wednesday, before the two were identified by name, brought the number of U.S. service members killed in combat in Afghanistan to the highest annual number since 2014.

The two were the 13th and 14th U.S. combat fatalities in Afghanistan in 2019. Two other U.S. fatalities in Afghanistan this year were not combat-related.

Thirteen servicemembers were killed in 2018, with 11 in 2017, nine in 2016, 10 in 2015 and about 40 in 2014.

The deaths came amid ongoing peace negotiations between the U.S. and Taliban forces, and indications of the threat of violence from other forces such as Afghanistan-based Islamic State fighters, who have taken credit for an attack on a wedding in Kabul that killed 80 people last weekend.

Secretary of State Mike PompeoMichael (Mike) Richard Pompeo’China will not sit idly by’ if US sells fighters to Taiwan, official says The Hill’s Morning Report – Trump touts new immigration policy, backtracks on tax cuts Iceland’s prime minister will not be in town for Pence’s visit MORE this week said there are “certainly places where ISIS is more powerful today than they were three or four years ago.”

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Kilian Jornet Burgada, cresta Innominata e Monte Bianco in 6h17′

Il 18 settembre lo sci alpinista e maratoneta Kilian Jornet Burgada ha realizzato la salita da Courmayeur alla cima del Monte Bianco, lungo la famosa cresta Innominata (1000m, D+, V+, 60º), in 6 ore e 17 minuti. Lo spagnolo ha poi raggiunto Chamonix in un tempo totale di 8 ore 42 minuti.

Partendo alle 3:53 della mattina dalla chiesa di Courmayeur, il campione catalano è salito da solo lungo la bellissima Val Veny per raggiungere alle 5:25 il Rifugio Monzino a 2590m, da dove iniziano le prime difficoltà, ovvero il ghiacciaio che porta al bivacco de les Eccles a 4041m. Con sua grande sorpresa il ghiacciaio era in ottime condizione e Burgada è riuscito a salire velocemente con ramponi al bivacco per poi affrontare una doppia e continuare sulla cresta dell’ Innominata che aveva già percorso pochi giorni prima.

“Non appena completata la doppia e la lunga, difficile, sezione dove non ho trovato neve, sono riuscito a prendere fiato” ha raccontato Burgada, aggiungendo “sapevo di essere in grado di salire l’Innominata visto che l’avevo già affrontata pochi giorni fa. E’ molto tecnica, con pendii di 60° e sezioni di V+ e ho dovuto usare tutte le mie capacità. Fortunatamente non ho trovato molta neve o ghiaccio.”

Burgada è arrivato in cima al Monte Bianco alle 10:15, ovvero 6 ore e 17 minuti dopo la partenza da Courmayeur, e dopo una breve pausa di 5 minuti si è diretto giù verso la chiesa di Chamonix che ha raggiunto dopo sole 2 ore e 19 minuti, ossia sole 8 ore e 42 minuti dopo essere partito da Courmayeur.

Ricordiamo che questa velocissima salita fa parte del secondo capitolo del progetto Summits of My Life e che la prima tappa – la traversata del Monte Bianco – era stata segnata dalla tragica morte del suo compagno nonché campione dello scialpinismo Stephane Brosse.

Dettagli:
Partenza: Courmayeur (Valle de Aosta, Italia)
Arrivo: Chamonix (Francia)
Distanza: 42 km
Dislivello: 3,810m lungo la cresta Innominata
Tempi parziali: Courmayeur – Val Veny: 40′; Val Veny – Rifugio Monzino: 1h30-50′; Monzino – Eccles: 3h30-2h; Eccles – Monte Bianco: 6h17-2h47 (5’ stop in cima); Monte Bianco – Gouter: 6h50 -27′; Gouter-Houches: 8h15 -1h25; Houches-Chamonix: 8h42’57’’

Per vedere il video della salita vistate: www.esport3.cat

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Coppa del Mondo Lead: Kim e Min vincono in Corea

Jain Kim e Hyunbin Min hanno vinto la 7° tappa della Coppa del Mondo Lead 2012 di Mokpo, Corea del Sud.

La settima tappa della Coppa del Mondo Lead disputatasi a Mokpo in Corea del Sud durante lo scorso weekend è stata vinta da due atleti di casa: Jain Kim e Hyunbin Min. Mentre la vittoria della Kim non sorprende per niente (nel 2010 si era aggiudicata la Coppa e in questa stagione ha già vinto due volte), Min invece ha segnato il colpo grosso, battendo tutti e salendo per la prima volta in assoluto sul podio di una gara di Coppa del Mondo. A guardare bene però, la vittoria di Min non viene certo dal nulla e non è altro che la bella conferma del suo talento che negli ultimi due anni l’ha portato spesso in finale, ma mai tra i top assoluti. Fino a domenica scorsa, quando ha battuto di soltanto una presa il fortissimo giapponese Sachi Amma e di tre prese il canadese Sean McColl aggiudicandosi la sua prima vittoria, davanti al pubblico di casa. Come si può avverare un sogno meglio di cosi? 
Questi atleti sono stati seguiti da una lista davvero internazionale di top climber: il francese Manuel Romain (4°), lo spagnolo Ramón Julian Puigblanque (5°), l’austriaco Jakob Schubert (6°), il norvegese Magnus Midtboe, il nostro Stefano Ghisolfi (8° e quindi seconda finale consecutiva dopo il terzo gradino la settimana precedente) ed infine il tedesco Thomas Tauporn (9°). L’argento di Amma gli ha permesso di limitare i danni dopo “l’assenza” dalla tappa precedente è il giapponese si è prontamente ripreso la leadership con 455 punti, mentre Puigblanque lo insegue con 439 punti, 35 punti davanti a McColl.

Nella finale femminile c’è da segnalare che le due che si danno battaglia per la Coppa 2012 – Jain Kim appunto e la slovena Mina Markovic – hanno raggiunto la stessa identica presa e sono state spareggiate, da regolamento, ricorrendo al risultato della semifinale. Sia in Cina sia in Corea quindi alla Markovic è mancato quel pizzico di fortuna che spesso fa la differenza, ma quest’ultimo risultato non muta la sua leadership che la vede davanti con 530 punti, mentre Jain Kim la rincorre con 517 punti. Terza in Corea la giovane russa Dinara Fakhritdinova, seguita dalle giapponese Momoka Oda e Akiyo Noguchi (4° e 5°), la belga Mathilde Brumagne (6°) e le due austriache Magdalena Röck e Johanna Ernst (7° e 8°). Proprio la Ernst è terza nel ranking provvisoria per la Coppa 2012 ma con i suoi 455 punti si trova con un gap quasi impossibile da colmare nelle ultime due tappe di Inzai in Giappone e Kranj in Slovenia.

Mokpo ha anche ospitato una tappa della Coppa del Mondo Speed, vinto da Danylo Boldyrev e Yuliya Levochkina, dove c’è da segnalare l’ottimo settimo posto di Leonardo Gontero.
La prossima tappa di terrà a Inzai in Giappone il 27 e 28 ottobre.

Lead Uomini

1 Hyunbin Min 1989 KOR 33
2 Sachi Amma 1989 JPN 32+
3 Sean McColl 1987 CAN 29+
4 Manuel Romain 1988 FRA 26+
5 Ramón Julian Puigblanque 1981 ESP 25+
6 Jakob Schubert 1990 AUT 23+
7 Magnus Midtboe 1988 NOR 23+
8 Stefano Ghisolfi 1993 ITA 20+

Lead Donne
1 Jain Kim 1988 KOR 36+
2 Mina Markovic 1987 SLO 36+
3 Dinara Fakhritdinova 1992 RUS 35+
4 Momoka ODA 1994 JPN 33+
5 Akiyo Noguchi 1989 JPN 31+
6 Mathilde Brumagne 1989 BEL 21
7 Magdalena Röck 1994 AUT 19+
8 Johanna Ernst 1992 AUT 19

I video della serata di Arco Rock Legends 2012

I video della serata di Arco Rock Legends 2012 con Stefan Glowacz vincitore del Climbing Ambassador by Aquafil 2012, Sasha DiGiulian (vincitrice del Salewa Rock Award), Iker Pou, Adam Ondra, Dave Graham e Daniel Woods, Anna Stöhr (vincitrice del La Sportiva Competition Award), Kilian Fischhuber, Jacob Schubert.

Il 31 agosto al Casinò di Arco, nell’ambito del Rock Master Festival organizzato dall’ASD Arrampicata Sportiva Arco, sono stati consegnati i riconoscimenti della 7a edizioni di Arco Rock Legends 2012 in una speciale serata (ormai un classico) presentata da Kay Rush. Il Climbing Ambassador by Aquafil è stato consegnato a Stefan Glowacz “Per aver ispirato il mondo dell’arrampicata con visioni che coniugano i valori dello sport con quelli dell’esplorazione”. Il Salewa Rock Award che premia le performance sulla roccia (monotiro e boulder) è stato assegnato da una giuria composta da 20 riviste internazionali a Sasha DiGiulian “Perché ha saputo spingere in avanti i confini dell’arrampicata sportiva dimostrando ancora una volta che occorre sognare gli orizzonti più lontani per vivere il futuro”. La stessa giuria, per le competizioni di arrampicata sportiva della scorsa stagione agonistica, ha assegnato il La Sportiva Competition Award ad Anna Stöhr “Per la forza, la passione e la gioia che riesce ad esprimere in ogni competizione. Un esempio per tutti, non solo per i risultati assoluti ottenuti ma anche per lo stile”. Per il Salewa Rock Award concorrevano anche Iker Pou, Adam Ondra, Dave Graham e Daniel Woods. Per La Sportiva Competition Award erano in lizza anche Kilian Fischhuber, Jacob Schubert.

Ecco i video di presentazione dei protagonisti proiettati nel corso della serata:

Alex Puccio vince e convince alla Tierra Boulder Battle di Stoccolma

La fortissima boulderista statunitense Alex Puccio vince la Tierra Boulder Battle di quest’anno, confermando la sua ottima forma per la stagione della Coppa del Mondo di boulder. Matilda Söderlund vince argento, Mina Leslie-Wujastyk bronzo.

L’edizione 2013 di questa particolare gara ad inviti organizzata dal produttore di vestiario tecnico Tierra si è di nuovo tenuta al Klättercentret di Telefonplan a Stoccolma. Come l’anno passato, questo scorso sabato abbiamo assistito ad una gara in cui sei atlete femminili sono state invitate a tracciare un blocco ciascuna sul muro da gara del prestigioso centro di arrampicata svedese. Dopo la tracciatura, le sei partecipanti hanno potuto lavorare i problemi per un paio di ore per poi provare a chiuderli nel minor numero di tentativi durante la gara, dopo un giorno di riposo. Le partecipanti di quest’anno sono state le locali Matilda Söderlund e Anja Hodann, la norvegese Therese Johansen, la francese Mélissa Le Nevé, l’inglese Mina Leslie-Wujastyk e la vincitrice dell’edizione 2011, Alex Puccio.

Alle 20:00 in punto di sabato la gara è cominciata, con l’arrivo delle sei arrampicatrici al Klättercentret. La telecronaca era anche disponibile in inglese grazie alla sempre più esperta squadra di 24/7 TV, la stessa che segue anche tutte le gare ufficiali della IFSC.

Il primo blocco era quello tracciato da Anja Hodann, ed era caratterizzato da un ricomponimento alla Fontainebleau e da un piccolo diedro. Quattro gariste sono riuscite a chiuderlo al primo tentativo (sarebbe improprio parlare di flash dato che tutti i problem erano stati precedentemente provati) mentre Anja e Matilda ne hanno impiegati due, forse a causa del possible nervosismo di essere di fronte al pubblico di casa.

Il secondo blocco era firmato “Le Nevé” ed è risultato essere molto più difficile del precedente, con un inizio spalle al muro e una sezione di strapiombo che richiedeva flessibiltà e grande precisione sui tallonaggi. Mina Leslie-Wujastyk e Alex Puccio sono state le uniche a chiuderlo subito, diventando prime nella classifica provvisoria. Melissa stessa avrebbe poi detto di come il suo blocco le aveva richiesto più forza resistente del previsto, confermando come anche in una gara in cui i problemi erano già stati testati, nulla sia certo.

Alex Puccio aveva descritto il suo boulder, il terzo, come un problema che richiedeva potenza pur essendo praticamente verticale. Il chiave del boulder, un movimento dinamico verso uno svaso per la mano destra, è risultato difficile per tutti (tranne che per Alex, che ha chiuso al primo tentativo). Mina e Anja non sono riuscite a passarlo, Mélissa e Therese ci sono riuscite una volta sola ma senza poi chiudere. Matilda Söderlund, aiutata dalla sua statura, non ha neanche avuto bisogno di staccare i piedi ed è riuscita a deliziare il pubblico svedese con un top allo scadere del tempo.

Il quarto blocco, ad opera di Therese Johansen, era quasi una piccola via, con allunghi a partire da piedi in aderenza e una sezione di traverso. A parte Anja Hodann, tutte le climber sono riuscite a chiudere rapidamente il problema, che è risultato essere una piccola boccata d’aria in vista degli ultimi due blocchi.

Il boulder di Mina, il quinto, partiva con un difficile dinamico verso due prese svase poste in maniera asimmetrica. Puccio, Johansen e Söderlund l’hanno chiuso senza problemi, mentre la tracciatrice stessa ha dovuto impiegare due tentativi, finendo così terza dietro a Matilda nella classifica provvisoria.

Per finire, l’ultimo problema era una sagra di microtacche creato da Matilda, che è però riuscita a chiuderlo subito, così come Alex e Mélissa.

Il podio ha così visto Mina Leslie-Wujastyk al terzo posto, Matilda Söderlund al secondo ed Alex Puccio, che ha chiuso tutti e sei i problemi al primo tentativo, prima.

La cerimonia di premiazione è stata un’ulteriore piccola sfida, dato che il podio era appoggiato sullo stesso materassone che ha parato le cadute delle atlete. Quando Alex Puccio ha provato a salire sul gradino più alto, il podio si è rovesciato ed è dovuta saltare giù, con il commentatore svedese che ha scherzosamente spiegato che “questa è l’unica maniera di far cadere Alex questa sera!”

Mentre la serata si muoveva verso l’afterparty, ci siamo messi in contatto con Mina  Leslie-Wujastyk e le abbiamo chiesto un paio di domande…

Mina, come pensi che questo formato di gara (con i partecipanti che tracciano e provano i boulder prima della gara) possa interessare climber di un po’ tutti i livelli e venire adottato maggiormente in gare non-ufficiali?
Penso sia un ottimo formato per climber che vengono da diversi tipi di arrampicata, è meno specifico di una gara ufficiale. Poter provare i problemi lo fa rassomigliare molto all’arrampicata in ambiente, inoltre i problemi sono più difficili e si capiscono meglio le diverse abilità dei partecipanti piuttosto che non la sola capacità di chiudere problemi più facili in stile flash. È davvero divertente e meno stressante, dato che sai cosa aspettarti dai blocchi.

E cosa pensi di aver imparato da questa Tierra Boulder Battle che pensi potrà aiutarti anche in altre gare come la Coppa del Mondo?
Ho imparato di nuovo quanto le gare possano essere divertenti e ho fatto nuove amicizie che credo rivedrò ad altre gare, rendendole ancora più interessanti. Ovviamente ho anche imparato diverse cose sugli aspetti più tecnici dell’arrampicata e sulle quali lavorerò in allenamento.

Il webcast sarà presto disponibile per il replay o per lo scaricamento all’apposita pagina di 24/7 TV www.247.tv/climbing/tierra-boulder-battle-2013/

di Franz Schiassi

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Intervista a Michel Piola: l’arrampicata sul Monte Bianco, la ricerca e una storia che continua

La storia del favoloso mondo di Babette, ovvero la meraviglia dell’arrampicata sul granito del Monte Bianco partendo dall’Envers des Aiguilles. Intervista a Michel Piola, uno dei più prolifici e forti alpinisti del mondo che in oltre 30 anni di attività ha lasciato un segno indelebile sull’arrampicata, aprendo vie di inestimabile valore sia per bellezza sia per stile d’apertura, soprattutto nel regno del Monte Bianco dove le sue vie sono state e rimangono tuttora un importante banco di prova per ogni generazioni di alpinisti. In questa rara intervista concessa a Maurizio Oviglia, Piola parla della sua arrampicata e della sua continua ricerca di linee ancora mai salite.

Verso la metà degli anni ottanta vi era un rifugio nel cuore delle Aiguilles de Chamonix, proprio sopra il placido fiume di ghiaccio della Mer de Glace, che catalizzava l’attenzione di tutti gli arrampicatori. Per la prima volta anche chi non era pratico di alpinismo si avventurava su vie di montagna, per la prima volta potevi vedere sul Monte Bianco scalatori arrampicare in t-shirt e variopinti collant. Questo rifugio si chiama Envers des Aiguilles ed allora era gestito da Babette, una donna energica e gentile nello stesso tempo, un vero mito della mia generazione. Allora, un rifugio gestito da una donna, era un caso più unico che raro nelle Alpi! Era il “magico mondo di Babette”, un universo fatto di guglie di granito dorato, di vie bellissime, direi quasi perfette, dove l’arrampicatore soggiornava in rifugio anche per più giorni, concatenandone il più possibile. Una volta tornati in rifugio potevamo parlare con Babette di quello che avevamo fatto, delle nostre impressioni, persino avanzare timidamente delle critiche. Prima di dedicarsi alla omelette della cena lei annotava tutto su un quaderno che, si diceva, poi avrebbe mostrato a Michel Piola, non appena Lui sarebbe tornato. Ogni tanto sgridati ma anche coccolati da quella “gardienne” così informale, qualche volta sulla roccia dove non potesse sentirci ci lamentavamoun po’…. ma in fondo in fondo ci piaceva trovare una donna ad aspettarci, il rifugio tutto in ordine e pulito, le tendine curate alla finestra, la cena già quasi pronta; una che ci capisse, che comprendesse il nostro linguaggio, tanto da sembrare una di noi… Speravamo segretamente di incontrare un giorno colui che consideravamo l’artefice di tutto questo, il profeta del cambiamento, l’apritore che più di tutti era riuscito a coniugare etica ed estetica sulle rocce del Monte Bianco. Non lo incontrammo mai, nè avemmo la fortuna di vederlo all’opera, rimase insomma il nostro mito ideale. Del resto lui era sempre in qualche nuovo posto, era “avanti”, mentre noi potevamo solo accontentarci di ripercorrere le vie aperte due o tre anni prima. Oggi quell’uomo è un tranquillo 56enne che divide il suo tempo tra montagna e riattrezzatura proprio di quelle vie che hanno reso popolare il Monte Bianco presso tutti gli scalatori del pianeta. Pur essendo un’icona dell’alpinismo mondiale non lo si vede spesso alle cerimonie ufficiali, nè lo si trova nei salotti virtuali o sui social network. E’ rimasto schivo come un tempo, ma pungente al punto giusto quando lo si stuzzica un po’ sulle nuove tendenze dell’arrampicata. Michel fa un po’ parte della mia vita, sono cresciuto sulle sue vie, ho tentato di emularlo in tutti i modi, senza naturalmente riuscirci. Sono quindi fiero di poter oggi conversare con lui e di avere la libertà di provocarlo un po’. L’anno scorso mi ha scritto “mi piacerebbe aprire una via con te”. E’ stato il più bel regalo per i 50 che potesse farmi, ma non ho potuto fare a meno di pensare a come avrei reagito se me lo avesse chiesto 30 anni fa! A quei tempi tentavo di suonare l’assolo di Stairway to heaven alla chitarra ma il mio cuore non avrebbe certamente retto se Jimmy Page mi avesse invitato a suonare con lui sul palco. Per questo, forse, è stato meglio così…

Maurizio Oviglia


Michel, vorrei farti delle domande a proposito dell’Envers des Aiguilles, il fantastico paradiso dell’arrampicata sulle Aiguilles des Chamonix. Sono più o meno 30 anni che tu ed i tuoi amici avete cominciato ad aprire delle vie su queste pareti. C’era un progetto preciso? Avevate immaginato cosa poi sarebbe diventato?
Era l’estate del 1982 e tornavo dalla parete sud del Fou, era la prima volta che avevo soggiornato all’Envers des Aiguilles: non potevo credere ai miei occhi, c’erano decine di pareti e speroni vergini…
In quell’epoca, del resto come spesso anche oggi, nessuno affermava che le Alpi fossero già sature, bastava alzare gli occhi…
Senza alcuna pretesa, dato che questo Eldorado era sotto gli occhi di tutti, ho subito immaginato che questo versante delle Aiguilles de Chamonix sarebbe diventato uno dei più grandi spots dell’arrampicata su granito.

Che peso hanno avuto le vie del Gran Capucin come Voyage Selon Gulliver nelle scelte etiche che voi avete poi adottato all’Envers? Avevate consapevolmente cercato di prendere una direzione più ludica e meno alpinistica, o non c’era una filosofia di base nelle vostre aperture?
Non c’è una grande differenza tra il Grand Capucin e le “big-wall” di 500 o 800 metri all’Envers des Aiguilles… La quota forse, ma all’Envers le giornate finiscono spesso all’ombra, i ghiacciai non sono meno crepacciati, e l’approccio non si può fare con gli sci dalla stazione di una funivia. Le vie vicine all’Aiguille du Fou o all’Aguille de la République resteranno sempre isolate ed impegnative! E’ piuttosto il contrario, abbiamo applicato al Grand Capucin quello che avevamo fatto all’Envers des Aiguilles, senza differenze di rilievo.
Dunque, no, non si può veramente dire che l’Envers sia meno “alpino” che le scalate nella Combe Maudite, in ogni caso almeno per le vie più lunghe. Semplicemente, all’Envers des Aiguilles c’è forse più scelta per potere migliorare gradualmente, con fortunatamente qualche via molto vicina al rifugio, senza approccio su ghiacciaio e su roccia eccellente, che potremmo definire “pedagogica” o, posso passarti il termine, “ludica”…

Il grande successo dell’Envers des Aiguilles è, secondo te, dovuto soprattutto alla presenza degli spits o ci sono diverse ragioni che hanno contribuito? Come siete arrivati a quelle scelte etiche che sono nel tempo divenute dei veri clichè?
Tu parli di “cliché” perchè vuoi forse dire che le vie “moderne” del massiccio del Monte Bianco sono piene di spit? Eppure la grande maggioranza (silenziosa) dei ripetitori ritiene che ce ne siano pochissimi, soprattutto sulle placche compatte delle vie degli anni ’80, e che il mancato moschettonaggio degli stessi porterebbe a cadute molto pericolose, o potenzialmente letali. No, credimi, la reale scelta etica che ha rivoluzionato la scalata in montagna è il ricorso sistematico alle soste spittate, anche sulle vie di fessura, assicurandosi in ogni momento il ritorno in doppia. Da allora, lo spirito della scalata in montagna, e soprattutto l’accettazione del rischio è radicalmente cambiato. Ecco la ragione per cui alcuni possono avere l’impressione di un certo abuso di spits, ma io rifiuto nel modo più deciso questa tesi e resto convinto che l’idea del “semi-trad” (soste spittate, fessure vergini) è la sola via per garantire un futuro alla scalata su granito.
Tutti son capaci di fare una solitaria integrale su passaggi di 2 o 3 gradi inferiori al loro livello abituale, anche con una scaglia tagliente 5 metri sotto al culo: è fattibile per un ripetitore, non per un’apritore che non voglia vedere le proprie notti tormentate da una schiera di fantasmi…
Rimettiamo la chiesa al centro del villaggio: all’Envers come dappertutto nel massiccio, gli spit in posto sono indispensabili (provate a fare Monsieur de Mesmaeker all’Aiguille du Midi senza spits!), e talvolta essi permettono di evitare giri viziosi ed inestetici su cenge o scaglie pericolanti. Talvolta, eccezionalmente, essi servono da indicatori di direzione.
Per garantire questo spirito “sportivo”, mi sono notoriamente battuto contro l’apertura dall’alto in montagna (essa si stava generalmente affermando come movimento di contestazione negli anni ’85-’90, ricordiamolo!) e, più tardi, l’abuso di spit dovuto alla comparsa del trapano a batteria.

Mi ricordo che forse fui uno dei primi italiani a ripetere le tue vie in quell periodo. La custode del rifugio era Babette, che era sempre molto gentile con noi arrampicatori. Teneva un libro delle scalate con le statistiche di tutte le ripetizioni. Cosa ricordi di quei tempi? Ti senti ancora con Babette?
Restiamo in contatto via lettera: Babette era una grande personalità della Valle di Chamonix, con una mentalità nuova ed aperta nei confronti della scalata. Il successo dell’Envers des Aiguilles le deve molto!

Folies Bergeres era considerata tra le vie più difficili di quel periodo, un capolavoro della scalata in placca. Qualcuno dei miei amici aveva provato a ripeterla, una vera odissea! Mi ricordo di parecchie leggende a riguardo dell’apertura di queste placche, puoi raccontarmene qualcuna?
In effetti quella prima salita fu alquanto laboriosa: eravamo certamente al top della nostra “specializzazione” in placca (infatti eravamo diventati scarsissimi negli altri stili) ma nello stesso tempo là eravamo andati veramente al limite, soprattutto se pensi che aprivamo con il perforatore a mano! Dunque ho dei migliori ricordi delle vie che si “sviluppano” meglio, vie in fessura come “Une gueule du diable” o “Pedro-polar” e soprattutto tutte le vie di più di 500 m di altezza: “Oublie ta vie”, “République bananière”, “Subtilités dülfériennes”, etc…

Secondo te quali sono state le più belle realizzazioni di questo periodo o quelle che ricordi con maggiore affetto?
Ho un debole per tutte le prime linee salite su una parete vergine, le vie dove nessun percorso parallelo aveva costituito il movente per aprire una via. Ce ne sono decine all’Envers des Aiguilles, e riconosco che come apritore sono stato fortunato, anche se, fortunatamente, continuo a scoprire pareti vergini quasi tutte le estati sempre in questo inesauribile massiccio che è il Bianco.

L’Envers des Aiguilles oggi. Una volta mi hai confidato che lavori molto alla riattrezzatura delle vie di quel periodo. Che peso ha per te questa eredità?
Un apritore deve essere fondamentalmente altruista, e dunque occuparsi della sicurezza e della manutenzione delle sue vie. Allora sì, io riattrezzo praticamente tutto quello che ho aperto: da 10 anni a questa parte esclusivamente a fittoni resinati, anche in alta montagna.
A questo proposito, mi piacerebbe che gli apritori ed i riattrezzatori prendessero veramente coscienza della loro responsabilità, abbandonando l’utilizzo dei fix e delle placchette, che si svitano e necessitano di continua manutenzione (è il mio grande rimpianto all’Envers: aver cominciato troppo presto e non essere riuscito a riattrezzare tutto a fittoni). Dall’inizio degli anni 2000, con la tecnologia dei “removable bolts” si può aprire dappertutto dal basso coi fittoni resinati, e sinceramente non capisco perchè io resti l’unico in Europa a praticare questa scelta.

Non hai paura che alcune belle vie cadano nell’oblio senza che nessuno pensi a riattrezzarle?
Le belle vie non troppo estreme sono e saranno riattrezzate, gli itinerari più duri finiranno per sparire dalla memoria collettiva… e non è poi una grossa perdita!

L’Envers dei giorni nostri è ancora un punto di riferimento nel Massiccio, secondo te? Come le nuove generazioni si pongono di fronte a queste vie?
Il fattore di successo più importante è l’esistenza di un punto d’appoggio, il Rifugio dell’Envers des Aiguilles, confortevole, accogliente e molto meno caro che i biglietti della funivia dell’Aiguille du Midi o della Punta Helbronner. Ma il successo viene anche, sicuramente dall’incredibile concentrazione di vie nei pressi del rifugio, che permette di ottimizzare al meglio i giorni a propria disposizione: si ha l’impressione di bivaccare alla base delle pareti stesse, senza essere mai “tagliati fuori” dal granito come può essere in altri rifugi in quota. All’Envers des Aiguilles, il rifugio è posto a nido d’aquila su uno sperone roccioso 50 m sopra agli ultimi pendii erbosi, ma sulla cresta Est della Tour Verte; un caso quasi unico per un grande rifugio delle Alpi. Ci saranno sempre delle cordate che ameranno quest’atmosfera così particolare, e il fatto di poter accedere a numerose vie senza dover per forza fare un ghiacciaio, un “approccio” apprezzabile nella pratica un po’ inquietante dell’arrampicata semi-trad.

Visto il ritorno negli ultimi anni del trad, pensi ancora di aver fatto la scelta giusta in quegli anni? O certe vie, se dovessero essere aperte oggi, sarebbero pensate e realizzate diversamente?
Non c’è nessun ritorno dell’etica “trad” per la grande maggioranza degli scalatori. Tutti vanno sempre di più sulle vie completamente attrezzate, e la piccola èlite che apre in questo contesto non è rappresentativa. Se si dovesse (ri)scoprire l’Envers oggi, sono certo che gli apritori farebbero a gara tra di loro a chi pianta più spit, piuttosto a chi fa vie trad…
Dovremmo allora capire cosa vogliamo dire col termine “trad” (puro trad ?!), uno stile che tende a scomparire, chiaramente più per causa dell’attrezzatura delle soste su spit delle vie storiche, veramente nefasto secondo me, che per un angolo dedicato alle vie “moderne” (in semi-trad…). A me sembra che queste cerchino piuttosto di preservare questo stile di scalata.
L’Envers des Aiguilles, in questa disputa, è il migliore tra gli argomenti.

di Maurizio Oviglia

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Premio Alpinistico Marco e Sergio Dalla Longa 2012

Riservato ad alpinisti bergamaschi, il Premio Alpinistico Marco e Sergio Dalla Longa 2012 è stato assegnato a Tito Arosio e Saro Costa per la loro salita della Via Divine Providence (Grand Pillier d’Angle, Monte Bianco). Ettore Alborghetti ha vinto il Premio Giovane Promessa mentre il Premio del Pubblico è stato assegnato a Fulvio Zanetti e Mauro Gibellini, mentre Giangi Angeloni e Daniele Calegari hanno ricevuto una menzione speciale dalla Giuria. Il report di Maurizio Panseri.

Il 22 febbraio 2013 all’Auditorium modernissimo di Nembro abbiamo assistito ad una grande serata. È stata l’occasione per sentire il polso dell’alpinismo bergamasco, l’opportunità di percepirne il battito forte e determinato di un cuore vivo e pulsante, colmo di sogni, passioni e progetti. La nuova formula, che vede in campo il CAI di Bergamo, il CAI di Nembro. Il GAN di Nembro ed aggiustamenti nel regolamento, per renderlo più chiaro e meno vago soprattutto in riferimento alle modalità di selezione delle candidature ed altri piccoli dettagli. A tale proposito si vuole sottolineare che il Premio Alpinistico e il Premio alla Giovane Promessa, viene assegnato dopo un attento lavoro che ha visto all’opera per numerose serate i sette membri del Comitato Paritetico e i quattordici membri della Commissione Giudicatrice. Ben 11 sono state le candidature presentate, 3 delle quali, seppure meritevoli, non hanno superato la prima selezione volta ad individuare le 8 candidature da sottoporre alla Commissione Giudicatrice e quindi portare alla serata del 22 febbraio.

Ecco le 8 candidature selezionate:
1 – Diego Pezzoli, Mauro Gibellini – California – El Capitan – “Lurking Fear”
2 – Giangi Angeloni, Daniele Calegari – Presolana – Corna Delle 4 Matte – “ A Piede Libero”
3 – Franz Rota Nodari – Monte Bianco – Grand Pilier d’Angle. Grande Passione Alpina”
4 – Tito Arosio – Grand Pilier d’Angle – “Divine Providence”
5 – Yuri Parimbelli, Daniele Natali – Patagonia – Fitz Roy – “Via Franco Argentina”
6 – Fulvio Zanetti, Mauro Gibellini – Marmolada – Parete Sud – “Via Attraverso Il Pesce”
7 – Rosa Morotti – Grand Jorasses – “Sperone Walker”
8 – Daniele Natali, Tito Arosio – Presolana – Parete Nord – “Via Paco” Prima invernale

Un pubblico numeroso ha stipato la sala ed ha seguito con attenzione le oltre due ore della serata, condotta brillantemente da Paolo Cattaneo ed introdotta da un’emozionate performance musicale. Dopo le premiazioni la serata è continuata presso la sede del Gruppo Alpini di Nembro, che hanno idratato e rifocillato tutti gli intervenuti. Cogliamo l’occasione anche per ringraziare gli sponsor tecnici: Climbing Tecnology e Tiraboschi Sport di Zogno.

Premio del Pubblico
Il grande pubblico è diventato parte attiva e protagonista della festa, esprimendo il suo voto per la salita che hanno ritenuto migliore e da questo premio iniziamo. Sono state distribuite quasi 400 schede e ne sono state raccolte ben oltre 300. Lo scrutinio del voto popolare ha assegnato il Premio del Pubblico alla salita di:
Fulvio Zanetti, Mauro Gibellini – Marmolada – Parete Sud – “Via Attraverso Il Pesce”

Premio alla giovane promessa
Quest’anno il riconoscimento al giovane alpinista bergamasco va a un giovane riservato e timido che tutti gli alpinisti conoscono. Speriamo sia presente in sala. Fra la sua attività, rilevante e di ricerca, bisogna sottolineare che ha aperto una bellissima e pericolosissima via sulla Quarta Pala di San Lucano. Inoltre ha fatto le prime ripetizioni di due vie importanti di Ivo Ferrari. Lui vagabonda un po’ dappertutto nelle Alpi salendo le vie più grandiose sulle grandi pareti, il diedro Philipp Flamm in Civetta per citarne una. Ha scalato molto con i liguri, forse c’e’ un recondito significato, ma ora sempre più spesso scala anche con noi bergamaschi. Però si lamenta perché non ha frequentato bene il Massiccio del Bianco e perché c’è talmente tanta roba bella da fare che a lui sembra di essere uno che scala poco. Ora dobbiamo dire il nome del “prode ettorre” e dirgli di venire qui, a questo vecchietto di 26 anni: Ettore Alborghetti

Premio Alpinistico Marco e Sergio Dalla Longa
Il lavoro della Commissione Giudicatrice è stato appassionate, ricco di discussioni, confronti e spunti di riflessione ed ha portato alla seguente scelta. La Commissione ha deciso di assegnare il Premio Marco e Sergio dalla Longa 2013 a Tito Arosio e Saro Costa per la loro salita della Via Divine Providence al Grand Pillier d’Angle, nel gruppo del Monte Bianco. Divine Providence è una delle più ambite e prestigiose vie dell’intero arco alpino, aperta nel 1984 da Patrick Gabarrou e François Marsigny rappresenta al tempo stesso la salita di riferimento e il sogno del grande alpinismo che ancora oggi, nell’era della globalizzazione e delle grandi pareti a portata di mano, si può compiere sulle Alpi. Ai giovani Tito e Saro va il Premio Sergio e Marco Dalla Longa 2012 per avere prima scoperto, poi immaginato e infine interpretato da protagonisti il proprio viaggio alpinistico attraverso una delle più difficili, remote e complesse vie del Massiccio del Monte Bianco.

Menzione speciale
Proprio perché la discussione è stata appassionante, la Commissione ha proposto anche questo riconoscimento. Menzione speciale della Commissione per la salita di Giangi Angeloni e Daniele Calegari alla Corna delle Quattro Matte, nel gruppo della Presolana. L’apertura della via “A piede libero” in una delle aree più isolate e meno esplorate del massiccio della Presolana è stata effettuata con un meraviglioso criterio di stile, secondo un etica rigorosa e con una storia personale dei due salitori che merita di essere conosciuta. La salita di “A piede libero” di Giangi e Daniele rappresenta la vittoria della pazienza sulla fretta; della voglia di fare bene, con coerenza, nel rispetto delle proprio ideale di alpinismo, sulla voglia di riuscire a tutti i costi. Questo è l’alpinismo che piaceva a Marco e a Sergio Dalla Longa, e questo è l’alpinismo che piace anche a tutti noi.

Maurizio Panseri
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Alaska: bella nuova via sul Citadel nel massiccio Kichatna

Da 05-07 aprile 2013 Ben Erdmann, Jess Roskelley e Kristoffer Szilas hanno effettuato la prima salita di Hypa Zypa Couloir (ED: AI5+, M6+, 5.10R, A3, 1100m) sulla parete est nel massiccio Kichatna in Alaska

Gli alpinisti statunitensi Ben Erdmann e Jess Roskelley e il danese Kristoffer Szilas hanno inaugurato alla grande la primavera 2013 in Alaska con la impressionate prima salita di Hypa Zypa Couloir sulla parete est della cima Citadel nella remota catena montuosa Kichatna.

L’esperto trio ha raggiunto la base della montagna con l’aerotaxi il 4 aprile, con l’intento di ripetere Supa Dupa Couloir, la via aperta nel 2003 da Mike ‘Twid’ Turner, Stu McAleese e Olly Sanders. Gli inglesi però avevano anche spiegato che subito a sinistra c’era un’altra possibile linea e al loro arrivo Erdmann, Roskelley e Szilas si sono subito resi conto che il couloir sembrava in condizioni ideali.

Senza perdere tempo i tre sono partiti poco dopo la mezzanotte (quindi meno di 12 ore dopo essere atterrati sul ghiacciaio), e hanno iniziato a salire la ripida goulotte, affrontando neve e ghiaccio con difficoltà fino a AI5+ e M6+. Dopo un primo freddo bivacco – una stretta cengia scavata nel ghiaccio – i tre hanno continuato presto il giorno successivo per uscire dal canalone, salire oltre il colle e raggiungere la cresta sud. Questo tratto di bel granito è stato superato con difficile arrampicata in artificiale (A3) ed alcuni tratti con protezioni distanziati (5.10R). Subito sotto la cima i tre si sono fermati per un secondo bivacco e la mattina successiva l’hanno finalmente raggiunta per poi iniziare la discesa lungo la parete nord. Questa si è rivelata più difficile del previsto con corde bloccate, arrampicata in discesa molto esposta e persino una doppia da un spectre-hook soltanto…. Dopo aver affrontato il crepaccio terminale i tre sono rientrati sani e salvi al campo base, anche se con leggero congelamento alle dita, 70 ore dopo essere partiti.

Questo immediato successo sembrava prometteva bene per le restanti due settimane, ma come ci ha raccontato Szilas “subito dopo la nostra salita la temperatura è scesa di circa 15 gradi ed è diventato così freddo che non siamo riusciti ad asciugare i guanti, nemmeno quando non c’erano nuvole a mezzogiorno. La pompa del carburante del nostro fornello non funzionava a causa del freddo. Abbiamo anche indossato tutti i nostri vestiti mentre eravamo nei sacchi a pelo, ma continuavamo a tremare per tutta la notte quindi non abbiamo potuto fare altro che chiamare l’aereo ed andarcene. Il termometro segnava -30°C: si deve essere fortunati con le temperature quando si scala così presto in Alaska e siamo già stati molto fortunati durante la salita.”

Szilas ha poi concluso “E’ stata la prima volta per tutti noi nel Kichatna Range; ciascuno di noi ha fatto circa una dozzina di spedizioni in tutto il mondo, ma finora il Kichatnas è il posto più interessante che abbiamo mai visto. Soltanto una o due teams in questa regione in ogni stagione, per cui si tratta di un’esperienza nella vera wilderness.”

Jess Roskelley è sponsorizzato da Adidas, Kristoffer Szilas è sponsorizzato da Millet.

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Macron calls Amazon rain forest fires an 'international crisis' to discuss at G-7 summit

French President Emmanuel MacronEmmanuel Jean-Michel MacronFrance deploying 13K officers, drones to lock down G-7 summit site Trump, France’s Macron discuss G-7 ahead of annual meeting The Hill’s Morning Report – Trump on defense over economic jitters MORE on Thursday called the fires ravaging the Amazon rainforest an “international crisis” that must be discussed at the upcoming Group of Seven (G-7) summit.

“Our house is burning. Literally. The Amazon rain forest – the lungs which produces 20% of our planet’s oxygen – is on fire. It is an international crisis,” Macron tweeted.

“Members of the G7 Summit, let’s discuss this emergency first order in two days!”

Macron is hosting this year’s summit of economic powers in Biarritz, France, meaning that he is responsible for setting the agenda.

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A Monday session focused “climate, biodiversity and oceans” was previously scheduled, a senior Trump administration official told The Hill.

While leaders from France, Italy, Canada, the United Kingdom, Japan, Germany and the U.S. — the G-7 members — and some other developing countries will be present at the summit, Brazil will not be.

Brazil’s space research center, the National Institute for Space Research (INPE), released data this week showing that wildfires have increased 83 percent from last year.

The 72,843 fires in a little less than nine months is a record, creating a massive threat to global biodiversity and efforts to combat climate change.

The spike has coincided with the election of president Jair Bolsonaro, who vowed in January to develop the Amazon region for farming and mining.

Bolsonaro has rejected the data from his state agency while blaming opponents for staging the fires to hurt his image.

He fired the last director of INPE after criticizing agency statistics showing an increase in deforestation in Brazil.

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Manufacturing measurement shows contraction for first time since 2009

A key measure of manufacturing activity in the United States has indicated a contraction for the first time in nearly a decade, adding to worries for the economy.

The U.S. manufacturing PMI, or purchasing managers’ index, fell below 50 for the first time since September, 2009, meaning that the sector is shrinking rather than growing.

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The index, compiled by financial information company IHS Markit, tracks a slew of factors such as output, new orders, prices and employment to capture a snapshot of the industry. The index settled to 50 in July, and fell to 49.9 in August.

The drop is the latest worrisome sign for the manufacturing sector after a period of growth early in Donald TrumpDonald John TrumpSarah Huckabee Sanders becomes Fox News contributor The US-Iranian scuffle over a ship is a sideshow to events in the Gulf South Korea: US, North Korea to resume nuclear talks ‘soon’ MORE‘s presidency. Federal Reserve data showed manufacturing output contracting for the past two quarters, meeting a commonly used definition for a recession.

The news comes alongside heightened concerns of a broader economic slowdown or recession. A common bond market signal known as an inverted yield curve on Thursday flashed for the third time since last Wednesday.

If the trend continues, it could spell trouble for Trump’s reelection campaign. Manufacturing plays an outsized role in Pennsylvania, Michigan and Wisconsin, the three traditionally blue states he narrowly flipped in 2016 to win the White House.

Trump took to Twitter Wednesday morning, arguing that “The Economy is doing really well,” and pressuring the Federal Reserve to further cut interest rates.