Devero Mountain Contest 2005

Il 29-30-31/07/2005 si svolgerà all’Alpe Devero, all’interno del Parco naturale Veglia-Devero, comune di Baceno (VB), all’estremità settentrionale del Piemonte sul confine italo-svizzero, il primo Devero Mountain Contest.

Festa, Film & Boulder per tutti. Il 29, 30 e 31 luglio 2005 si svolgerà all’Alpe Devero, all’interno del Parco naturale Veglia-Devero, comune di Baceno (VB), all’estremità settentrionale del Piemonte sul confine italo-svizzero, il primo Devero Mountain Contest. Una manifestazione che, pur mirata a valorizzare le potenzialità e le specificità turistiche del luogo (quelle di un turismo eco-compatibile), romperà però certe divisioni stereotipate e sclerotizzate fra montagna e città, tradizione e nuove generazioni. Ecco perché le tre associazioni organizzatrici (l’Associazione Sportiva Mountain Cube, l’Associazione Albergatori dell’Alpe Devero e la Cooperativa Alpe Devero) la presentano come una festa.

Venerdì 29 luglio, si comincia con un “antipasto” di quelli tosti al Bar sciovie dell’Alpe Devero: Nell’ambito di Lago Maggiore LetterAltura “La morte sospesa” di Joe Simpson (Ed. Cda&Vivalda). Il libro, il film: una delle storie più avvincenti nella storia dell’alpinismo moderno, un best seller di letteratura di montagna, un film straordinario. A cura di Lorenzo Scandroglio, Cda&Vivalda, Fandango.

Dall’indomani si entra in pieno nella festa: Bouldering dimostrativo e scanzonato, dunque, con ritrovo alle 9 di sabato 30/7 nel prato antistante l’albergo Cervandone (all’ingresso dell’alpeggio a 10 minuti dal parcheggio auto) e inizio del contest non competitivo su un percorso di blocchi gradati suddivisi in facili, medi, difficili per squadre composte da 3 elementi.

Alla sera, sempre per Lago Maggiore LetterAltura, nell’apposito tendone, proiezione di Street Boulder Contest2003, video sostenuto da un gran ritmo musicale con scorci di arrampicata urbana notturna a Milano prodotto dai meneghini Stone Grip segnalati al Trento Filmfestival 2004. Poi musica e birra.

Domenica mattina, incontro con le Guide Alpine di Mountain Cube per le varie proposte di itinerari su roccia di vie classiche e moderne. Proseguimento per chiunque intende provare l’arrampicata boulder sui blocchi aperti e gradati anche dai big nazionali. Al pomeriggio apertura del pannello di arrampicata per la dimostrazione e prove anche per i più piccoli.

Ah, dimenticavamo; curiosità: anche Devero ha il suo “Sasso Berhault”. A disposizione, naturalmente. Chissà quanti anni aveva Patrick quando passò dalla Crodo del Crodino e salì alle pendici del Cervandone?

Lorenzo Scandroglio

ISCRIZIONI
– sul sito: www.mountaincube.it
– per mail coop_alpe@yahoo.it
– per telefono: 0039-0323-934674, 0039-349-0552938

INFO & PROGRAMMA www.mountaincube.it

Gasherbrum II per Vielmo, Castagna e Kaltenbrunner

Il 21/07 i vicentini Cristina Castagna e Mario Vielmo e l’austriaca Gerlinde Kaltenbrunner hanno raggiunto la cima del Gasherbrum II (8.035m)..

Giovedì 21 luglio, verso le ore 15 locali, i vicentini Cristina Castagna e Mario Vielmo e l’austriaca Gerlinde Kaltenbrunner hanno raggiunto la cima del Gasherbrum II (8.035m). Del gruppo faceva parte anche Claudio Pellizzari che ha guidato la cordata fino a 200 metri dalla vetta ma poi ha dovuto fermatosi.

I tre sono stati i primi alpinisti della stagione ad arrivare in vetta; il tempo finora è risultato molto freddo e ventoso e solo questa finestra di bel tempo ha consentito questo primo tentativo “serio”, coronato poi dalla cima.

Gasherbrum II 8035 metri (26,362 ft)
nome baltì: Muraglia scintillante
tredicesima montagna per altezza della terra
Posizione: Himalaya, Karakorum – a confine tra Pakistan e Cina
Primi salitori: gli austriaci Hans Willenpart, Frizt Moravec, Sepp Larch, il 7 luglio 1956

www.tikmountain.com

Domusnovas, Meeting no Big 2005

Il 19/06, si è svolto il tradizionale meeting a Domusnovas (Cagliari) patrocinato dal Comune, uno dei centri di arrampicata più conosciuti della Sardegna.

Domenica 19 giugno si è svolto ancora una volta il tradizionale meeting a Domusnovas (Cagliari) patrocinato dal Comune, uno dei centri di arrampicata più conosciuti della Sardegna. Quest’anno, invece della prova di Endurance, che aveva caratterizzato le passate edizioni, si è svolto un simpatico esperimento. L’organizzazione, curata a tre mani da Pietradiluna, Georock e Sardiniaclimb, ha infatti pensato di dedicare l’evento ai bambini e agli “amatori” di livello medio, cioè coloro che nella loro carriera non hanno ancora raggiunto la fatidica soglia del grado 7a.

La risposta del pubblico è stata ottima, la mattina due climbers di provata esperienza, Massimo Gessa e Simone Sarti, hanno fatto arrampicare più di 50 bambini sulle vie appositamente create per loro all’ingresso della grotta.

Nel pomeriggio ha avuto inizio la prova a premi aperta a tutti i climbers, sardi e non, che si svolgeva su tre vie di difficoltà 6a, 6b+ e 6c+, da percorrere in sequenza senza errori. Tra una trentina di iscritti l’ha spuntata il romano Riccardo Innocenti, seguito a ruota dal locale Roberto Marroccu, unici due ad essere arrivati in catena al 6c+. Per i due è stato necessario dunque uno spareggio su un terribile 7a+ che li ha sfiniti presto.

Tra le donne prima è risultata la cagliaritana Sabrina Porcedda, seguita da Daniela Montesu. Ma l’evento del giorno è stata l’iscrizione alla gara del sassarese Riccardo Lami, un bambino di soli 10 anni che ha impressionato tutti per la grinta e il coraggio (curiosa l’assonanza del cognome con David Lama, il bambino austriaco che ha sconvolto il mondo in questi ultimi due anni con le sue difficilissime salite), arrampicando da primo sulle vie dei grandi (per un bambino della sua taglia i chiodi sono veramente distanti!)… sinchè gli organizzatori, pur impressionati da cotanto coraggio, non hanno pensato che fosse meglio non abusare troppo della buona sorte, facendogli finire la gara da secondo di cordata.

Degna di nota anche la partecipazione alla gara dell’assessore regionale Chicco Porcu, pluri-campione di triathlon, che da anni non indossava imbragatura e scarpette, ma che si è battuto come un leone chiudendo anche un 6a a vista!

Dopo la proiezione del nuovo film sulla spedizione in Marocco di Oviglia, Larcher e Paissan, realizzato da Lorenzo Pevarello, hanno avuto luogo le premiazioni e distribuzione di manifesti, gadget e depliant.

Maurizio Oviglia

Nella foto in alto a sx: Riccardo Lami in azione, sopra:un momento della gara.

www.pietradiluna.com

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Nuova struttura per l’arrampicata in centro Italia

IL 19/07 s’inaugura a Sezze Scalo (LT) una grande struttura indoor per l’arrampicata. Promotrice dell’iniziativa è l’associazione sportiva “Extreme Dimension” in collaborazione con l’associazione sportiva e culturale Mountain Freedom.

Oggi, martedì 19 luglio, s’inaugura a Sezze Scalo in provincia di Latina una grande struttura indoor per l’arrampicata. Promotrice dell’iniziativa è l’associazione sportiva “Extreme Dimension” in collaborazione con l’associazione sportiva e culturale Mountain Freedom.

La nuova struttura al coperto, un’assoluta novità per la provincia di Latina, offre ben 500 mq di superficie arrampicabile, ha un altezza di 10 m e rende possibili itinerari di 20 m di sviluppo, per un totale di 16 vie di ogni difficoltà e 4 moduli boulder.

Stasera, dalle 19,00 alle 24,00 in occasione della presentazione al pubblico si potranno assistere a varie dimostrazioni e saranno possibili prove gratuite aperte tutti. Inoltre, la palestra rimarrà aperta anche il 21, 26, 28 Luglio dalle 19,00 alle 22,30. Mentre ad Agosto potrà essere frequentata solo su prenotazione. Con Settembre 2005, infine, la struttura verrà aperta ufficialmente.

Info:
Armando Onorati tel./fax 0773.899626

EXTREME DIMENSION”
via migliara 45, n. 14
Sezze Scalo (LT) www.mountainfreedom.it

Himalaya: Simone Moro compie la traversata dell’Everest da Sud a Nord

20/05, alle ore 3,15 nepalesi Simone Moro ha raggiunto (con uso parziale di ossigeno) la cima all’Everest da Sud ed è poi sceso verso Nord, lungo il versante tibetano.

Ore 3,15 nepalesi: Simone Moro è in cima all’Everest e poi scende verso nord, verso il Tibet, dal lato opposto dal quale è salito. Da sud a nord, da solo, partendo, alle 23 ora locale, dal Colle Sud. Poi, in vetta ha incontrato l’americana Brenda Walsh. E’ stata una bella traversata anche se, dice Simone: “Ho usato ossigeno per qualche ora: due ore al Campo 4 sul Colle Sud a 8000m, dove mi sono fermato due notti, e poi per un tratto di salita all’Everest (in tutto una ‘bottiglia’). D’altra parte, continua Simone, “le condizioni quest’anno non erano il massimo…”.

Per l’alpinista bergamasco quella di stanotte è la terza volta in vetta all’Everest (sempre con uso parziale di ossigeno). La prima fu nel 2000 da Sud, dopo ben 5 notti di permanenza al Colle Sud. La seconda nel 2002 con Mario Curnis da Nord. Poi, questa notte, il tris con la bella traversata Sud-Nord. Una combinazione che Moro ha addottato una volta constatata l’impraticabilità della cresta inviolata che, secondo il progetto iniziale, doveva condurlo in vetta al Lhotse.

Ora, dopo una gran corsa, Simone Moro è già sceso al Campo base avanzato tibetano. Gli resta un unico problema tornare a casa… ma siamo sicuri che se la caverà: buon rientro Simone!

Telefonata alle ore 1:00 italiane:
“Ciao. Ho usato ossigeno per qualche ora. Sono partito alle ca. alle 23 nepalesi e sono stato veloce. Sono stato in cima all’Everest. Adesso sto scendendo sul lato Tibetano e sono a campo 3. Questa è la terza volta che sono stato in cima all’Everest. Ho traversato l’Everest da sud a nord. Sto bene. Adesso continuo a scendere. Ci sentiamo più tardi. Quando sarò al base inizierà l’avventura nell’avventura… Ciao a più tardi”
Simone

Last news
“Ciao. Sono contentissimo. Le condizioni quest’anno non erano il massimo. Mi sono fidato come al solito di Karl Gabl per il meteo, ed ancora una volta ha avuto ragione. Sono partito solo alle 11 di sera ore nepalesi dal Colle Sud a 8000 metri e alle 3:15 ero in vetta all’Everest. Dalla vetta non ho più visto nessuno… Le corde fisse erano tutte coperte dalla neve, perché negli ultimi giorni nessuno è stato in vetta da nord ed ho fatto tanto fatica a tirare fuori le corde fisse. E’ stata una traversata tutto da solo, le prime persone le ho incontrate tra campo 2 e campo 1.
I primi complimenti gli ho avuti dagli Sherpa. Sono stato velocissimo. In 5 ore mi sono trovato in vetta e sono arrivato al campo base alle ore 8:25 di mattina.
Adesso sono qui in Tibet, ho con me passaporto e soldi… Non so ancora cosa farò una volta rientrato in Nepal, adesso sono in ottima forma e perfettamente acclimatato… Ciao e seguitemi ancora”
Simone


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nella foto la triade del Khumbu: da sx Everest, Lhotse e Nuptse – arch. Simone Moro

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Marmolada: prima libera tutta da capocordata della Larcher-Vigiani per Bubu Bole

Il 10/09 Mauro “Bubu” Bole, in cordata con Jenny Lavarda, ha realizzato, in 13 ore, la prima salita in libera tutta da capocordata della “Larcher-Vigiani” alla Punta Penia, in Marmolada.






Il 10 settembre Mauro “Bubu” Bole ha realizzato, in 13 ore, la prima salita in libera tutta da capocordata (e senza mai cadere) della “Larcher-Vigiani” alla Punta Penia, in Marmolada. Una super via, di 13 lunghezze per una difficoltà massima di 8a e 7b obbligatorio, aperta nel 2000 dalla premiata ditta Rolando Larcher e Roberto Vigiani che, il 13/08/2001, ne aveva fatto anche la prima salita in libera (vai alla news). Come si ricorderà, poi, la prima ripetizione del grande viaggio sulla sud-ovest è stato realizzato il 17/07/2005 da Bruno Pederiva e Mario Prinoth. Ora, è stata la volta di Bubu Bole che, dopo aver provato la via, con la sua “corsa” ha centrato la prima ripetizione in libera tutta da primo. E, particolare davvero interessante, l’ha fatto in compagnia di Jenny Lavarda: un autentico battesimo (e incontro con le grandi pareti) per la campionessa italiana di arrampicata sportiva.

“L’idea è nata con Ines Papert” spiega Bubu Bole “E’ stata lei che mi ha dato la motivazione per provare questa bellissima via! Altrimenti avrei continuato con le mie corse in macchina! Poi Ines ha rinunciato: aveva ancora quel nodo dell’altr’anno per l’icidente sul ‘Pesce’. L’avventura è nata con una donna e non poteva concludersi che con un altra vittima, Jenny Lavarda! Altrimenti neanche questa via avrebbe avuto un senso! A parte gli scherzi ho avuto anche la fortuna di non cadere mai altrimenti il progetto sarebbe fallito!”

“La via è davvero bellissima” ci tiene a precisare Bubu, “Bella, difficile e alpinistica. “Si tratta di una vera e propria big wall alpinistica. Difficoltà di 8a a 3000m su una grande parete come la Marmolada, con quasi tutte le lunghezze che mettono in gioco un grande impegno psicolgico e dove “engagée” non è una parola vuota, ti fanno vivere un’esperienza che sarebbe riduttivo considerare solo di arrampicata sportiva. Su questa via si affronta l’alta difficoltà in roccia in una dimensione che è propria dell’alpinismo. Rolando Larcher e Roberto Vigiani hanno realizzato davvero una gran cosa, per stile e impegno psicologico: complimenti davvero!”.

E complimenti anche a Jenny, aggiungiamo noi, anche per l’entusiasmo che ha messo in questo viaggio accettato da parte sua quasi come una scommessa al buio!

BUBU BOLE, JENNY E “La LARCHER-VIGIANI” IN MARMOLADA
di Jenny Lavarda

La settimana dopo il Rock Master è stata, per quanto mi riguarda, molto ricca di forti emozioni. Mentre mi stavo allenando nella struttura ad Arco ricevo inaspettatamente una chiamata dal mio amico Bubu Bole che mi chiede se domenica sono libera e disponibile ad accompagnarlo sulla “Larcher-Vigiani” in Marmolada. Subito sono stata un po’ sorpresa da questa sua richiesta e, lì per lì, anche un po’ dubbiosa a causa della mia poca esperienza in montagna… e così dopo una gara andata a male decido di trascorrere una giornata diversa dal solito accompagnando Bubu nel suo obiettivo: il tutto organizzato per domenica 10 settembre.

Nel frattempo, venerdì, carica più che mai, vado a chiudere il mio conto in sospeso: il mio primo 8c/c+ “Claudio Caffè” (vai alla news) alla Terra Promessa e, guarda caso, quando scendo ad Arco a festeggiare, incontro proprio Bubu che mi dà già “quattro dritte” sulla via, su cosa devo e non devo portare, e altri dettagli tecnici… Ero già agitata all’idea di questa nuova esperienza! Così sabato mi dirigo verso il Passo Fedaia dove abbiamo appuntamento, e da lì nel pomeriggio prendiamo l’ovovia e ci facciamo una bella passeggiata fino al bivacco dal Bianco dove abbiamo trascorso la notte, pronti per partire belli freschi la mattina successiva.

Alla sera ceniamo ma cerchiamo di rimanere belli leggeri, Bubu ancora di più, e per la prima volta lo vedo senza la sua solita birra… cose da non credere! Lo vedo bello concentrato sul suo progetto, forse una delle poche volte così serio e motivato. Dopo cena esco dal bivacco per ammirare lo splendore della montagna: è uno spettacolo incredibile! Luna piena che illumina tutto ciò che ci sta attorno, la parete sud della Marmolada è illuminata a volte da piccole e fioche luci di coloro che bivaccano in parete, silenzio totale… E’ uno spettacolo che mi trasmette delle forti emozioni. Mi è sembrato di tornare indietro di dieci anni, quando andavo quasi tutti i weekend in montagna assieme ai miei genitori. Mi mancavano queste emozioni! E’ tutto uno splendore. Mi siedo su un sasso, lì fuori dal bivacco, e rimango ad ammirare la bellezza che mi offre la montagna, ascoltando Bubu che mi racconta buona parte della storia della Marmolada con i suoi personaggi e le sue vie… Uff! Lezione di alpinismo stasera… Così verso le 21.00 ce ne andiamo a letto per recuperare più energie possibili per il giorno successivo.

Alle 5 del mattino suona la sveglia e dopo un buon caffè, ci dirigiamo verso l’attacco della via. Già appena sveglia mi sento strana, un po’ nervosa e capisco subito perché faccio fatica a mandare giù qualsiasi cosa da mangiare: ho lo stomaco chiuso! Ahia, non sarò mica nervosa… Invece, quando sono sotto alla via, sono proprio agitata perché non so cosa mi aspetta… Ma cerco di tranquillizzarmi e di non far vedere a Bubu la mia agitazione, perché oggi è lui che deve fare il “colpo” e io devo essere tranquilla per cercare di motivarlo e caricarlo il più possibile e per infondergli fiducia e tranquillità… anche se lui è già di suo super motivato!

Alle 7.00 si parte, come sempre in ritardo dalla nostra tabella di marcia; che dire: lui è sempre lento in tutto… io sempre in anticipo e frettolosa, lui il contrario di me… quindi vi lascio immaginare… E così si parte per questa grande avventura.
Parto bella motivata e con tanta voglia di scalare, soprattutto dopo aver realizzato il mio progetto solo due giorni prima. E’ vero: sono un po’ agitata perché non so cosa mi aspetta e come reagirò a certe situazioni, ma nello stesso tempo mi sento anche tranquilla perché so di affrontare questa nuova esperienza con una delle poche persone in cui ripongo una fiducia incredibile. Ed è anche per questo che ho deciso di affrontare questa nuova avventura: ero con una persona in cui ripongo una grande fiducia e tanta stima; è stato lui ad insegnarmi e a farmi scoprire il meraviglioso mondo del dry-tooling. Quindi perché rinunciare anche a questa nuova esperienza?

E così i primi tiri filano via lisci, tra qualche spiegazione di manovre di soste, di assicurazione, di corde da tutte le parti che devo stare attenta che non si aggroviglino – altrimenti ne prendo di tutti i colori – e di tanta ma tanta scalata in placca su una roccia meravigliosa: tutta a buchi, biditi, mododiti, tacche, svasi… su questa via c’è tutto, insomma… una completezza incredibile!
Dopo 5 lunghezze a-vista però, la fatica comincia a farsi sentire e comincio a fare qualche riposino intermedio… Ahia… però che bello scalare qui in montagna con il vuoto sotto di me! Che sensazioni incredibili! Nel frattempo Bubu scala via veloce e fluido e, ad ogni tiro, mi sorprende sempre più. “Ma quanta ne ha”, penso tra me, ma non dico nulla: lo lascio concentrato sul suo obiettivo! Quando facciamo l’ultimo tiro di 7b oramai è quasi buio. Non vedo praticamente nulla e comincio ad agitarmi un pochino… Però tengo duro fino alla fine: non voglio mollare per niente al mondo, anche se ormai le avambraccia sono andate e la pelle delle dita è completamente esaurita! Concludiamo così la via alle 8 di sera, dopo ben 13 ore appesi alla parete, tra soste, manovre, bloccaggi, biditi e qualche risata per le cazzate che combinavo non essendo una gran esperta di questo nuovo mondo.

Arrivati in cima al pilastro faccio i complimenti a Bubu per la realizzazione del suo progetto, e da parte mia provo una soddisfazione incredibile per essere riuscita ad arrivare in cima, anche se con qualche riposo in più, a questa grande montagna che dentro di me ha sempre avuto un valore enorme. Sono le mie prime esperienza di arrampicata in montagna, e per me arrivare in cima a Punta Penia è stata una soddisfazione incredibile.

Dopo ben 10 anni, sono ritornata ad affrontare la montagna. Le mie esperienze in questo mondo sono state molto limitate, forse una o due vie sul quarto grado con mio padre quand’ero molto piccola, ma vi posso garantire che questa è stata in assoluto la mia prima grande esperienza alpinistica. Ho riscoperto emozioni e sensazioni che avevo tralasciato da molti anni ma che ho ritrovato grazie a questa nuova esperienza. Sono stata molto contenta di aver avuto la possibilità di accompagnare Bubu in questo suo progetto e lo ringrazio per la sua grande pazienza. Mi sono divertita davvero molto… per un weekend ho staccato la spina dal mondo delle gare e di allenamenti e mi sono goduta il meraviglioso mondo della montagna come ai vecchi tempi… e per di più in ottima compagnia!

di Jenny Lavarda

TUTTA LA LARCHER-VIGIANI TIRO PER TIRO:
6c – 45m; 6c – 50m; 7c+ – 45m; 7b – 60m; 7c+/8a – 60m; 7c – 40m; 7a – 60m; 8a – 55m; 7b – +55m; 7c+/8a – 40m; 7b – 60m; 3° – 50m.


Nelle foto Bubu Bole suula “larcher-Vigiani”. In alto jenny lavarda e Mauro ‘Bubu’ Bole (ph. fabio Dandri)

Portfolio Larcher-Vigiani apertura Larcher-Vigiani 1a ripetizione www.climbubu.com www.jennylavarda.com La Sportiva Expo PlanetMountain Ferrino Expo PlanetMountain

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Everest: Mallory e Irvine e la vetta del 1924

Il 14/06 Conrad Anker e Leo Houlding hanno toccato la vetta dell’Everest seguendo le tracce di George Leigh Mallory e Andrew Irvine per svelare il mistero della loro scomparsa nei pressi della vetta l’8 giugno 1924.

Mallory e Irvine arrivarono in vetta all’Everest nel 1924? Il quesito (e il mistero), sul quale da 83 anni s’interrogano gli storici dell’alpinismo, resta ancora senza risposte definitive. Anche se un altro tassello per la ricostruzione di quella (assolutamente fantastica) impresa s’è ora aggiunto per mano di una coppia d’eccezione: l’americano Conrad Anker e l’inglese Leo Houlding.

Il 14 giugno i due sono arrivati in vetta all’Everest lungo il versante nord, seguendo le tracce dei due alpinisti-pioneri del ’24. L’intento era ancora una volta quello di capire se Mallory e Irvine fossero scomparsi prima o dopo aver raggiunto la vetta, ma soprattutto se fossero in grado, con i mezzi dell’epoca, di superare il famoso "Second Step", lo scalino roccioso a 8600m e alto circa 30m considerato il passaggio chiave della via.

Anker e Houlding facevano parte della spedizione di "Altitude Everest" guidata dallo stesso Anker. Per ricreare la storica salita la spedizione aveva scelto di salire proprio negli stessi giorni della scomparsa di Mallory e Irvine, e infatti la spedizione è stata l’ultima rimasta sulla montagna in questi giorni pre-monsone. Inoltre, la spedizione ha ricevuto il permesso di togliere la scaletta in metallo fissata sul tratto roccioso denominato "Second Step".

Questo tratto “in artificiale” era stato realizzato nel 1975 dalla spedizione Cinese che aveva effettuato la seconda salita dal versante Nord. Anker e Houlding hanno affrontato il Second Step nelle prime ore della mattina del 14 giugno e dopo la libera Anker ha commentato semplicemente: “that was hard”. Tre ore dopo i due erano in cima.

Per la cronaca, la via dal versante nord era stata salito “in libera” nel 1985 anche dallo spagnolo Oscar Cadiach e nel 2001 dallo svizzero Theo Fritsche, entrambi senza ossigeno ma entrambi, ovviamente, con l’aiuto psicologico della scala vicina.
Il fatto che Anker e Houlding siano riusciti a salire il “Second Step” nelle stesse "condizioni" di Mallory e Irvine avvalora la tesi secondo la quale i due inglesi potrebbero aver raggiunto effettivamente la cima nel ’24.

Conrad Anker aveva ritrovato il corpo di Mallory nel 1999 ma questa scoperta non riuscì a risolvere l’enigma: la parola fine alla storia potrà essere messa solo con il ritrovamento dell’apparecchio fotografico dei due alpinisti e per ora non è in discussione il primato di Sir Edmund Hillary e di Sherpa Tenzing Norgay, che raggiunsero la vetta nel 1953 salendo dal versante sud. In ogni caso la loro resterà sempre un’impresa eccezionale, come lo è stata senz’altro quella di Mallory e Irvine nel 1924 (!) al di là della vetta raggiunta o meno.

Cronologia 1852 – 1975
1852 – Con i suoi 8839 metri d’altezza il ‘Peak 15’ é indicato dal Survey of India (Ufficio trigonometrico e geodetico dell’India) come la montagna più alta del mondo.

1856 – Il ‘Peak 15′ è ribattezzato ‘Everest’ in onore di Sir George Everest direttore del Survey of India dal 1823 al 1843.

1920 – Il Dalai Lama consente alla Gran Bretagna l’accesso al Tibet per la prima spedizione all’Everest dal versante Nord.

1921 – 1° spedizione britannica al versante Nord. S’individua la strada di salita all’Everest dal Colle Nord.

1922 – 2° spedizione britannica al versante Nord. E’ raggiunta da George Finch e J.G. Bruce l’altezza record di 8300 metri.

1924 – 3° spedizione britannica, per il versante Nord. Nuova quota record di metri 8580 raggiunta da Norton. Mallory e Irvine vengono visti, per l’ultima volta, poco lontano dalla vetta. Ancora adesso, a 76 anni dalla loro scomparsa, resta il dubbio se l’abbiano raggiunta o meno.

1933 – 4° spedizione britannica per il versante Nord. Viene raggiunta la stessa quota massima di 8580 metri del 1924. Sulla cresta Nord-Est a 8460 metri Wyn Harris ritrova una piccozza che si pensò fosse quella di Mallory, successivamente si capì che era invece quella di Irvine, suo compagno di cordata nell’ultima e misteriosa salita all’Everest .

1933 – 1949 – Varie spedizioni si susseguono sul versante Nord senza risultato. Segue un periodo di pausa dovuto allo scoppio della 2° Guerra mondiale.

1950 – Il Nepal apre le frontiere per l’accesso al versante Sud.

1951 – Ricognizione britannica dal versante nepalese.

1952 – 1° e 2° spedizione svizzera – versante sud. Viene salito lo Sperone dei Ginevrini ed individuata la strada per la vetta. R. Lambert e Norgay Tenzing arrivano a quota 8595 metri

1953 – Prima salita assoluta. Il 29 maggio una spedizione britannica, guidata da H.C.J. Hunt, arriva in vetta dal versante Sud con il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa Norgay Tenzing.

1956 – 2° e 3° salita. La 3° spedizione svizzera per il versante sud porta in vetta due cordate composte da E. Schmied, J. Marmet, D. Reist e H. von Guten.

1960 – 1° salita dal versante Nord (itinerario di Mallory) da parte di una spedizione cinese.

1963 – 1° traversata dell’Everest da parte di una spedizione americana. N.G. Dyhrenfurth, W.F. Unsoeld, T.F. Hornbein salgono per la cresta Ovest e discendono per la creata Sud-Est.

1970 – Una spedizione giapponese sale in vetta, con due cordate, per la cresta Sud-Est. Nello stesso anno il giapponese Y. Miura, scende con gli sci il couloir tra lo Sperone dei Ginevrini e la Parete Sud dell’Everest, raggiungendo la velocità di 150 Km/h e arrestandosi con un piccolo paracadute.

1973 – Spedizione italiana guidata da G. Monzino. In otto raggiunsero la vetta per la via del Colle Sud: M. Minuzzo, R. Carrel e gli sherpa Lhakpa Tenzing e Sambu Tamang il 5 maggio, F. Innamorati, V. Epis, C. Benedetti e lo sherpa Sonam Gyalzen il 7 maggio.

1973 – I giapponesi H. Ishiguro e Y. Kato, il 26 ottobre, arrivano in vetta per la via del Colle Sud. E’ la prima salita nel periodo post-monsonico.

1975 – Junko Tabei, salendo per la via classica del Colle Sud, compie la prima ascensione femminile. Fa parte di una spedizione giapponese interamente femminile ed in cima è accompagnata dallo sirdar degli sherpa Ang Tshering.

1975 – Una spedizione cinese (410 partecipanti), salendo dal versante Nord, porta nove alpinisti in vetta tra cui la tibetana Phantong, seconda donna a scalare l’Everest. Gli alpinisti fecero uso di ossigeno solo nelle pause e si trattennero circa 70 minuti sulla cima.

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La Frabica delle scritture a Prà del Cimerlo

A Prà del Cimerlo (Primiero, Dolomiti) un vecchio tabià restaurato dall’Ente parco Paneveggio è diventato un museo – archivio delle scritture di montagna in cui sono in programma vari incontri con giornalisti e scrittori.

Quest’estate sul tema del recupero della cultura alpina c’è da segnalare una particolare iniziativa del Parco Naturale di Paneveggio che si protrarrà anche nei mesi di agosto e settembre. Si tratta de "La Frabica delle scritture" una sorta di archivio (in itinere) delle scritture di montagna e insieme una mostra permanente per testimoniare lo stretto rapporto che si è stabilito tra la vita di montagna e le diverse pratiche di scrittura.

Il tutto ha sede In Val Canali, ai piedi del Cimerlo (Primiero, Trento) dove nel 1998, a cura dell’Ente Parco di Paneveggio, è stato restaurato un vecchio fienile e stalla (o per meglio dire un tabià) ora diventato appunto "La Frabica delle scritture", in cui quest’estate verranno proposte alcune giornate dedicate alla scrittura popolare di montagna in cui sarà possibile incontrare vari scrittori e giornalisti.

Prossimo appuntamento il 28 luglio con Enrico Camanni giornalista e scrittore tra i più conosciuti tra quanti si sono occupati (e amano) i temi della montagna e della natura.

Il tabià del Cimerlo, documentato fin dal 1681, è posto al termine dell’itinerario storico-naturalistico che da Tonadico porta al Prà del Cimerlo. Si raggiunge a piedi (circa 1 ora e 30′ di salita) oppure con il bus navetta fino ai Prati Fosna per proseguire poi con 20 minuti circa di cammino.

PROGRAMMA ESTATE 2007

– 7 luglio: inaugurazione. Passeggiata guidata con il curatore della mostra Quinto Antonelli

– 28 luglio: "Letterature di montagna a confronto". Pensieri e testimonianze di Enrico Camanni.

– 25 agosto: Pensieri e divagazioni dello storico Luigi Corazzol.

– 22 settembre: Presentazione del "X° Seminario dell’Archivio della scrittura popolare organizzato dal Museo Storico in Trento

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Il nuovo Palaroccia di Torino

Il 14 giugno in via Braccini a Torino è stato inaugurato il “Palaroccia” la nuovissima struttura che va a sostituire lo storico impianto del Palavela. L’intervista di Elio Bonfanti ad Andrea Mellano che delle gare di arrampicata e del Palavela fu uno degli ispiratori e più attivi sostenitori.

Il nuovo “Palaroccia” è una struttura per l’arrampicata sportiva costruita grazie al recupero di una vecchia centrale dell’Azienda Elettrica Municipale risalente al 1935. In questo stabile, l’architetto Erica Ribetti, con un progetto assolutamente innovativo sia sotto il profilo estetico che sotto quello energetico, ha fatto sì che 600 metri quadri di vetrate a bassa emissione consentano dall’esterno di vedere le attività svolte all’interno ed ha poi con 100 metri quadrati di pannelli fotovoltaici integrati nel tetto, provveduto a rendere autonomo ed autosufficiente l’edificio, per quanto riguarda l’approvvigionamento elettrico.
La nuova struttura è dotata di una tribuna da 50 posti per pubblico ed accompagnatori e di 1000 metri quadrati di muri di arrampicata realizzati dalla Sint Rock di Arco di Trento. Su queste pareti alte 18 metri trovano spazio 40 percorsi, che si sviluppano su una superficie dove possono arrampicare contemporaneamente sino a 100 persone.
Il centro si propone di essere la nuova sede del vecchio Palavela pre olimpico (la storica struttura torinese dedicata all’arrampicata, attualmente utilizzata per il pattinaggio su ghiaccio) ed è proprio con questo spirito che il Sindaco di Torino presente ed “arrampicante” all’inaugurazione, ha promesso che anche questo nuovo impianto sarà, come il precedente, intitolato a “Guido Rossa”. La definitiva apertura della struttura è prevista per il prossimo settembre.
INTERVISTA AD ANDREA MELLANO
di Elio Bonfanti
Andrea Mellano. Torinese, architetto, socio del club alpino accademico occidentale, scrittore e giornalista, nel suo impressionante Curriculum alpinistico è difficile contare quante vie nuove ha aperto e quante ripetizioni ha effettuato, ma basti pensare che ha ripetuto le tre grandi nord delle Alpi: Jorasses, Cervino, Eiger alcuni anni luce addietro e che per l’Eiger nell‘agosto del 1962 si trattò addirittura della prima Italiana. Andrea Mellano inoltre è stato tra gli ispiratori e fondatori del movimento delle gare di arrampicata e anche della Federazione Arrampicata Sportiva Italiana di cui è stato per molti anni presidente.

Ciao Andrea denuncio a priori la mia ignoranza per cui non potrai volermene se ti farò alcune domande magari banali, ma che mi servono per fare un passo indietro negli anni e per capire cosa è concretamente successo per fare sì che si arrivasse alle strutture al coperto ed alle gare di arrampicata. Da cosa e da chi nasce il movimento che ha portato la distinzione tra l’alpinismo e l’arrampicata sportiva?
Negli anni ‘70 personalmente ritenevo che le difficoltà incontrate in montagna dovessero essere fine a se stesse e non utilizzate come metro di valutazione per la gradazione di una via. In buona sostanza pensavo e sostenevo che il rischio non facesse grado. Fortunatamente non ero il solo a pensarla così e tra quelli che erano in linea con le mie idee c’erano Emanuele Cassarà ed Alberto Risso.
Come hanno contribuito questi due personaggi considerato il fatto che Cassarà non era nemmeno ancora un alpinista.
E’ vero ma ad esempio Cassarà facendo il giornalista aveva una rubrica sul quotidiano “Tuttosport” intitolata il “bivacco dell’ alpinista” dove affrontava delle tematiche legate al mondo della montagna ed ospitando illustri alpinisti gli venne facile muovere le acque.
Acque molto agitate…
Sì avevamo tutti, ma proprio tutti contro ed il concetto di “sportivo” nell’arrampicata non riuscivamo proprio a farlo passare. Tra i più recalcitranti ricordo che c’erano Giampiero Motti, Alessandro Gogna e Giancarlo Grassi che si convertirono poi pian piano salvo Giampiero che non fece in tempo a cambiare idea. Anche noi come Droyer nella vicina Francia siamo stati a lungo considerati eretici dagli ambienti più tradizionalisti dei” Vescovi” dell’ alpinismo.
Si però poi siete riusciti in fretta e prepotentemente a farvi vedere. Già nel 1985 avete organizzato la prima gara di arrampicata “Sport Roccia 85”.
L’aver spostato il gioco da un ambito di rischio ad uno di difficoltà pura ha fatto sì che nascesse l’esigenza del confronto soprattutto fra i grandi nomi dell’epoca. Così incontrammo preventivamente alcuni tra i più forti arrampicatori nostrani del tempo. Marco Bernardi al quale, essendo in sintonia con le nostre idee, si dovrà poi il regolamento delle gare ed il sistema di valutazione. Giovannino Massari da subito in perfetto accordo ma che non ha poi mai fatto competizioni ed Andrea Gallo che ad una iniziale contrarietà fece seguire anni di gare e di grandi risultati. Il comune di Bardonecchia aderì entusiasticamente all’iniziativa e con questo anche le guide alpine locali addette alla sicurezza. L’unico problema erano i partecipanti. A tre giorni dalla data non avevamo ancora un numero adeguato di adesioni e soprattutto mancavano i Big.
E poi?
E poi… grazie al cielo arrivarono, mancò solo Edlinger perché malato, fu un successo incredibile che mise finalmente nella giusta luce questo movimento innescando reazioni a catena ed interessando da subito altre località, altri atleti e l’UIAA che da lì a poco fece nascere l’ICC (international climbing competition). Pensa che la giuria era composta da Riccardo Cassin, Oscar Soravito, Maurizio Zanolla (Manolo) e da Heinz Mariacher. Ma non posso sottacere che sia pur in un’altra forma delle gare di arrampicata si svolgevano in Crimea già negli anni ‘60 e ad una di queste assistette addirittura il famoso Nino Oppio.
In tutto ciò il Cai naturalmente sempre ad occhi chiusi…
Purtroppo sì, ma devo dire che pur non “volendoci” al suo interno, quando nel 1987 fondammo la FASI e chiedemmo il riconoscimento dal CONI, il Cai da questi ultimi interpellato nella persona del suo presidente generale Bramanti ebbe parole tali nei nostri confronti che ci permisero di raggiungere questo obbiettivo già nel 1992.
Click Here: All Blacks Rugby JerseyAhi! me ne manca un pezzo siamo già al ‘92 e mi sono perso… come è nato il Palavela di Torino.
Devi sapere che nella prima metà degli anni ‘70 ero a conoscenza del fatto che a Bolzano esisteva una palestra di arrampicata fatta con delle rocce naturali. In quegli anni ero dipendente comunale del comune di Torino all’assessorato allo sport e grazie ad un cambio di giunta i personaggi che gestivano le attività cittadine erano molto sensibili alla diffusione dello sport cosiddetto di base. L’assessore Alfieri in prima fila seguito dall’allora sindaco Novelli, approfittando della manifestazione Sport uomo del 1980, decisero che la struttura del Palavela doveva essere riconvertita ad un uso sportivo rendendola fruibile alla cittadinanza invece di essere la sede di un museo dell’aeronautica perlopiù sempre chiuso. Fu così che riuscii ad infilarmi nel mezzo presentando e redigendo personalmente il progetto della struttura di arrampicata che immaginavo potesse essere ospitata all’ interno dell’ edificio. Non senza difficoltà riuscii a convincere tutti e così dopo che uno studio di ingegneri firmò il progetto in un batter d’occhio realizzammo l’opera (Pensa che vinse l’appalto un impresario, Renato Lingua, che faceva l’alpinista…).
Sotto il patrocinio dell’Accademico e con il suo allora presidente Corradino Rabbi nel 1983 alla presenza di moltissime personalità della politica e dello sport tra cui Messner, la Rutkiewicz la palestra venne dedicata a Guido Rossa con un commovente discorso di Massimo Mila.
Quindi con il Palaroccia l’arrampicata ha trovato una nuova casa in linea con la tradizione: sarà intitolato sempre alla stessa persona e con un nome che richiama alle origini.
Credo di sì, anche se personalmente il nome non lo trovo troppo aderente all’attività che vi si svolge. Forse qualcosa tipo “Palarrampicata” poteva essere meglio ma sono dettagli. La sostanza è che abbiamo a disposizione una struttura molto interessante dove poter avviare all’arrampicata le nuove generazioni dei torinesi amanti della verticale.
Ho letto che diversamente al vecchio Palavela la gestione della struttura non sarà affidata esclusivamente alla Sasp ma sarà una gestione congiunta.
Il Comune di Torino ha deciso di attuare questa formula che coinvolge realtà diverse per finalità, ma tutte legate dal comune denominatore della passione per l’arrampicata. Per cui penso proprio che se siamo arrivati sino a qui la scommessa della gestione congiunta sarà la più facile da vincere. Sono certo che le tre società specializzate sull’argomento operanti nel Torinese che sono in ordine rigorosamente alfabetico Il Bside, il CUS e la Sasp sapranno trovare le migliori soluzioni per continuare la tradizione.

Simone Moro e Denis Urubko e il progetto invernale sul Makalu

Alla fine di dicembre il bergamasco Simone Moro e l’alpinista kazako Denis Urubko partiranno per la loro nuova avventura che punta alla prima salita invernale del Makalu 8.463m (Himalaya, Nepal) quinta montagna più alta della terra.

L’inverno e gli 8000 hanno una storia ancora apertissima. Tanto che delle 14 montagne più alte della terra ne restano ancora 6 che aspettano la prima salita nella stagione più fredda. 5 sono in Pakistan: K2, Nanga Parbat, Gasherbrum I, Gasherbrum II e Broad Peak. Una sola nell’Himalaya Nepalese: il Makalu. E proprio a quest’ultimo mira il nuovo progetto invernale di Simone Moro e Denis Urubko che contano di partire per la freddissima e difficile piramide di 8.463m attorno al prossimo Natale.

Come qualcuno ricorderà, Urubko, insieme a Serguey Samoilov, Eugeny Shutov e Gennady Durov, ha già tentato lo scorso inverno di trovare la strada per la prima salita di questo colosso che svetta solitario circa 22 chilometri a est dell’Everest. Ma per il team kazako non c’è stato proprio nulla da fare: il “Grande nero” e il generale inverno hanno scatenato tutte le loro armi migliori (nevicate continue, ghiaccio, tempeste, freddo e tutto il classico repertorio) per negargli qualsiasi speranza.

Senza fortuna anche il tentativo di Nives Meroi, Romano Benet e Luca Vuerich, pure loro lo scorso inverno impegnati a tentare la via invernale a quella che è la 5a montagna della terra per altezza. E probabilmente anche una delle più ostiche e fredde. Rimasti da soli al campo base, dopo la rinuncia di Urubko e compagni, i tre “tarvisiani” hanno tentato ancora ma le condizioni della parete (coperta da un’immensa lastra di ghiaccio vivo) e soprattutto i venti fortissimi li hanno sconsigliati di proseguire.

A questo punto, in discesa dal campo base avanzato, è accaduto l’incidente a Nives Meroi: una fortissima raffica di vento le ha fatto perdere l’equilibrio e la caduta le ha provocato la frattura del perone. La situazione non era certo delle migliori. Da soli, in inverno, in mezzo al ghiacciaio, a più di una settimana di cammino dall’uscita dalla Valle, la cosa poteva davvero prendere una brutta piega. Fortunatamente un miglioramento del meteo ha reso possibile il loro recupero in elicottero. Un’operazione perfetta di cui il merito va alla bravura dei piloti ma anche al team del Nodo Infinito di Manuel Lugli che ha coordinato il tutto. Questo per dire cosa può comportare una spedizione invernale in Himalaya, soprattutto in una Valle così isolata come quella del Makalu.

Va ricordato anche che nel 2006, proprio in un tentativo solitario al Makalu in inverno, è scomparso il grande Christophe Lafaille. Il fortissimo alpinista francese aveva installato il suo ultimo campo a 7600m ed era poi partito per il suo tentativo alla vetta senza più lasciare traccia. Ma tutta la storia del Makalu invernale è costellata di insuccessi. A partire dal bel tentativo di Renato Casarotto e Mario Curnis del 1980, terminato a quota 7400m. A quello dell’inverno 1985/86 che ha avuto per protagonista Reinhold Messner. Per continuare con la spedizione guidata da Andrzej Machnik del 1987/88. E le due (del 1997/98 e 2000/01) guidate da Krzysztof Wielicki, ovvero il re assoluto delle invernali visto che all’attivo ha le prime d’inverno di Everest, Lhotse e Kanchenjunga.

E’ chiaro: è una storia lunga e difficile quella che si apprestano a vivere Simone Moro e Denis Urubko. D’altra parte i due sono un team forte e anche affiatato. Simone ha addirittura “scoperto” e avviato Urubko all’Himalaya. Non ha visto male dato che il kazako ha dimostrato le sue doti eccezionali di “alpinista combattente” centrando la vetta di 13 Ottomila ma soprattutto nuove vie come quelle sul Broad Peak (2005) e Manaslu (2006) e una bella salita sul K2 dal versante cinese (2008), sempre insieme a Serguey Samoilov,

Dal canto suo Simone Moro si appresta alla nuova avventura  con un’esperienza grandissima. Basti pensare che ha da poco compiuto 41 anni e questa è la sua 40esima spedizione… Ma va detto che, solo per restare all’inverno e agli 8000, sul suo palmares figura la prima invernale dello Shisha Pangma (con Piotr Morawski nel 2005) ma anche i due tentativi consecutivi al Broad Peak del 2007 e del 2008.

Va detto anche che il piano della prossima spedizione prevede uno stile ultra leggero: due alpinisti, niente sherpa, niente ossigeno e il proposito di non utilizzare corde fisse o di usarle al minimo. La via di salita ipotizzata sarà quella classica della normale oppure la via Kukuczka che già Moro ha salito nel 1993 fino a 8200m. E’ ovvio, per tutto quello che abbiamo raccontato finora, che tutto è nelle braccia del Makalu e degli umori del meteo. Una cosa è certa: farà freddo e sarà dura. Ma questo i due lo sanno bene, e hanno il “pelo” e l’esperienza per resistere. Bonne chance!

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