King of the Bongo, ripetizione in Val di Mello per Silvestro e Tomas Franchini

Il 22/05/2017 Silvestro Franchini e Tomas Franchini hanno ripetuto King of the Bongo, la via aperta nel 2014 dai Ragni di Lecco Paolo Marazzi, Matteo de Zaiacomo e Luca Schiera.

Lunedì 22 maggio abbiamo ripetuto King of the Bongo, abbiamo voluto provare la via aperta dai Ragni di Lecco nel 2014. Già dal primo momento in cui ho letto la relazione su planetmountain.com è stata una via che ha subito attirato la mia attenzione, soprattutto per l’attrezzatura che bisogna utilizzare e per la discesa che non si svolge in doppia dalla via. Sono due cose che aumentano l’impegno richiesto e quindi rendono più interessante l’esperienza di arrampicata.

Domenica pomeriggio saliamo per individuare l’attacco della via e lasciamo il materiale, ceniamo e dormiamo in valle. Lunedì attacchiamo la via al sorgere del sole; arrampicando a tiri alterni saliamo entrambi a vista il secondo diedro perfetto di 7b+ ed il tiro di 7c del traverso.

L’ottavo tiro purtroppo è bagnato e lo saliamo in artificiale. Il 7c+ è molto duro per noi da salire a vista, avendo pochi microfriends giusti. Volendo salire la via in giornata non abbiamo molto tempo per provare i passaggi in arrampicata libera.

Anche i tiri finali non sono scontati e troviamo, usando le parole di Paolo Marazzi ,anche dei “tiri di erba duri”. Alle 17.30 sbuchiamo in cima felici ed in 3 ore siamo all’Osteria Gatto Rosso scendendo dal Precipizio degli Asteroidi. Era da tanto che non arrampicavamo in Val di Mello, molto bello…

Spero che in futuro si ritorni ad aprire vie nuove senza spit e, se non ci fosse posto per questo, che si ripetino le vie senza spit.

Silvestro Franchini

Addio a Luigi Parisotto, fondatore di SCARPA

SCARPA SpA rende nota la scomparsa di Luigi Parisotto, storico socio fondatore della Società Calzaturieri Asolani Riuniti Pedemontana Anonima, avvenuta ieri 20 dicembre ad Asolo.

Luigi Parisotto, classe 1930, insieme ai fratelli Francesco e Antonio, decise all’inizio degli anni cinquanta di intraprendere un’attività artigiana nel settore calzaturiero, a seguito di un periodo di apprendistato svolto dallo stesso Luigi presso alcune delle migliori aziende della zona di quel tempo. Nasce il primo marchio della famiglia Parisotto, il Calzaturificio San Giorgio. Nel maggio 1956 avviene l’acquisizione dell’azienda SCARPA. L’impegno è grande e vede coinvolta tutta la famiglia, sia da un punto di vista strettamente operativo, sia da un punto di vista patrimoniale. L’avventura non è semplice e il mercato è denso di rischi. Tuttavia, grazie all’impegno dei 17 mastri calzolai, della tenace volontà di Luigi, Francesco e Antonio e all’indubbia qualità dei prodotti realizzati, nel giro di un decennio le calzature SCARPA acquisiscono una grande notorietà, fino ad essere oggi conosciute e vendute in tutto il mondo.

Luigi Parisotto viene ricordato dalla famiglia come “Uomo schietto, sincero, onesto e leale. Un innovatore, un imprenditore, un visionario che ha saputo realizzare i propri progetti e i propri sogni. È riuscito a fare tutto ciò, senza clamore, quasi silenziosamente. Lo ricorderemo come un imprenditore sempre in armonia con la famiglia, con i fratelli, con i nipoti e con tutti i dipendenti con i quali ha sempre saputo dialogare.”

Click Here: Geelong Cats Guernsey

Canalone di Lourousa democratico e lo sci ripido

Un video e una riflessione di Daniele Caneparo sul Canalone di Lourousa (Colletto Coolidge, tra Gelàs di Lourousa e Monte Stella) la più famosa e storica discesa di sci ripido delle Alpi Marittime.

Il canalone di Lourousa appartiene alla storia dello sci ripido. Quando Heini Holzer lo scende per la prima volta è il 7 luglio 1973. Quarant’anni fa. In queste quattro decadi c’è tutto il resto ovvero l’evoluzione di una disciplina che ha saputo farsi democratica passando da prerogativa di pochi ed ammirati funamboli ad attività ricreativa del fine settimana appannaggio di molti.

In quarant’anni il Lourousa è diventata una meta gettonatissima dagli amanti del ripido. Sul più noto dei siti web dedicati allo scialpinismo e che si ispira al protagonista del famoso romanzo di viaggi di Jonathan Swift, si possono contare, ad oggi, ben 129 ripetizioni. Un record inavvicinabile per qualunque altro itinerario di sci ripido, ma numeri che possono ingannare.

Il Lourousa non è una discesa facile e tanto meno scevra di pericoli. Circa a metà del suo sviluppo, due affioramenti rocciosi interrompono la delicata trama bianca della neve e si conficcano al centro del canale come ostacoli insormontabili per chi dovesse perdere il controllo degli attrezzi. Senza quei due isolotti rocciosi il Lourousa non sarebbe il Lourousa e soprattutto non rappresenterebbe così bene il senso di una disciplina. Nella più classica e ripetuta delle discese estreme, quei due affioramenti rocciosi ricordano allo sciatore che l’errore non è ammesso, che non si può venire a patti. Vai se te la senti, altrimenti no. Bianco o nero, come il canale ed il suo magnifico dirimpettaio roccioso a forma di corno.

In questo video presentiamo una discesa in soggettiva quasi “integrale” del canalone nel senso che sono state tagliate solo le pause per contenerne la visione in tempi accettabili. Il giorno in cui è stato girato il video il canale è stato percorso da una decina di sciatori provenienti non solo dall’Italia, ma anche dall’estero, addirittura dal Lussemburgo. Come mostrano le immagini, alla partenza la neve è molto segnata, il che giustifica almeno in parte le esitazioni dello sciatore, in parte, invece, da attribuirsi a materiali non proprio adatti alla bisogna … Degli scarponi pensati per le gare di scialpinismo non sono esattamente i più indicati per una persona di 90 kg che voglia cimentarsi con pendenze che raggiungono i 50°. Così come non lo è avere una lamina rotta su uno dei due sci, anche se accuratamente posta all’esterno dello sci a valle come sapientemente consigliato da chi, Renato Onofri, gli sci li cura con passione da oltre trent’anni.

E sicuramente non sono indicati sulla neve compatta degli sci lunghi 179 cm e larghi al centro 112 mm come uno dei protagonisti del video candidamente dichiarerà di avere…

Ovviamente la massificazione di una disciplina comporta che non tutti coloro che si cimentano con essa abbiano le credenziali giuste per farlo.

Il fenomeno, però, ormai è noto agli esperti che da molti anni lamentano la frequentazione dei ghiacciai con le scarpe da ginnastica e voi, come detto, non fatevi ingannare, perché il Lourousa, per quanto democratico, rimane pur sempre una discesa di sci estremo con due isolotti rocciosi conficcati proprio nel mezzo…

Daniele Caneparo

Click Here: Brisbane Lions Guernsey

Vallone di Sea: raduno d’arrampicata in Piemonte

Dal 9 al 10 settembre 2017 si terrà nel Vallone di Sea un raduno d’arrampicata alla scoperta della Val Grande di Lanzo in Piemonte. Ospite d’eccezione della manifestazione l’alpinista Sergio Martini. L’introduzione di Maurizio Oviglia e la presentazione di Luca e Matteo Enrico.

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare del Vallone di Sea, fino a poco tempo fa praticamente noto solo ai piemontesi. Già, ma dove si trova esattamente questa nuova Mecca della scalata su granito? Geograficamente il Vallone di Sea fa parte della Val Grande di Lanzo, la valle appena a sud della famosa Valle dell’Orco, Alpi Graie. Le caratteristiche geomorfologiche sono le stesse della Valle dell’Orco, solo che la Val Grande è molto più ampia e, nel fondovalle, assomiglia più ad una valle del Trentino (come ad esempio la Val di Fassa) che ad una delle Alpi Occidentali. Storicamente la Val Grande è importante perchè è proprio qui che è nato il Nuovo Mattino (e non come molti pensano in Val dell’Orco). Gian Piero Motti era originario di Bonzo e Gian Carlo Grassi negli ultimi anni si era stabilito proprio in valle. Il Vallone di Sea non è che l’estrema propaggine della Valle, ma nella parte mediana vi sono molte strutture meno famose da ri-scoprire, come ad esempio il Bec di Mea, il Bec di Roci Ruta, la Rocca di Lities. Nonchè numerose falesie di arrampicata sportiva. Anche se sulle pareti di Sea si respira un fascino particolare e sembra di trovarsi in una sorta di Yosemite malinconica, un rilancio di questa valle non può prescindere da una riscoperta di tutti i luoghi che hanno fatto la storia del nostro free-climbing. Da qui l’idea da parte del CAI Torino di promuovere un raduno che funga da incentivo per una visita, che faccia conoscere fuori dai confini piemontesi una comunità, quella della Val Grande, che ha bisogno di un turismo ecologicamente rispettoso che non si fermi ai soli due mesi estivi. Al di là dell’arrampicata vi sono luoghi bellissimi da scoprire ed economiche trattorie dove fermarsi dopo le arrampicate e le escursioni a gustare le tipiche specialità piemontesi. Ecco i dettagli del raduno di settembre, non mancate!

Maurizio Oviglia (CAAI)

IL VALLONE DI SEA E IL RADUNO DI SETTEMBRE IN VAL GRANDE

E’ ormai da qualche tempo che questo Vallone, scritto apposta con la V maiuscola, è tornato sulla bocca di molti, sembra quasi un po’ strano eppure è proprio così, è il potere dell’informazione che oggigiorno corre veloce su internet e tecnologici telefoni. Sembra un tempo remoto quando Gian Carlo Grassi scriveva sognanti articoli per la Rivista del Cai, oggi tutto è cambiato, persino il nome della stessa rivista. Eppure Sea sembra conservare quel fascino che pochi altri luoghi sanno trasmettere. Certo l’arrampicata granitica qui è varia e molto bella e oggettivamente è ben difficile, a ben pensarci, trovare un altro posto simile, con un tal concentrato di pareti dalle caratteristiche di montagna pur restando a poco più di un’ora dal fondovalle. Forse ciò che attira non è la varietà dei passaggi, le fessure o le “reglettes” ma proprio il fascino che questo luogo emana, quella luce e quei colori, quei silenzi e quei rumori che attirano come magneti, indirizzando lo scalatore verso le pareti.

In realtà Sea per lo scalatore è solamente quella porzione di Vallone fino all’incontaminato pianoro di Balma Massiet, perché poi curva addentrandosi per chilometri e chilometri nel cuore della montagna tale da rendersi invisibile agli occhi del “climber”. Sull’orizzonte si delinea solo la sagoma dell’Albaron di Sea che sembra una gigantesca nave girata al contrario con la chiglia al vento, incagliata nei ciclopici scogli di un mare estinto. Ma in fondo mare in inglese non si dice “sea”?
Click Here: nhl jerseys for sale
Per lo scalatore questo è un mare dei desideri, dei sogni e lo yosemitico “Sea of dreams” non è forse semplicemente quel “Sogno di Sea” di Grassi e Meneghin?

Un sogno che però con il passare degli anni si era forse tramutato in un incubo sotto forma di rigogliose teppe erbose o protezioni “naif”, bellissime, piene di fascino e personalità quanto in alcuni casi troppo vetuste per rendere appetibili questi itinerari. Da lì è nata l’idea del “restauro”, della pulizia per rendere nuovamente scalabili, divertendosi, queste vie stupende. Un lavoro enorme, sembra che tanto sia stato fatto ma in realtà la quantità di itinerari è così grande che si è solo all’inizio. Un inizio però assai promettente. E chi pensava, di noi “locals”, di incontrare simpatici scalatori forestieri?

L’idea del raduno nasce così proprio per cercare di radunare tutti quegli arrampicatori innamorati di questo luogo e per invogliare quelli che ancora non sono venuti a farlo, con la scusa di una grande festa dove potersi scambiare impressioni e informazioni, dove poter vedere le pareti addentrandosi in un mondo per troppo tempo celato sotto un velo di mistero, un luogo che deve riscattarsi dall’appellativo di “occasione persa”, una mecca di granito che dovrebbe divenire costante pellegrinaggio per ogni appassionato del genere. Il raduno in realtà vorrebbe far conoscere tutta la Val Grande, di cui Sea è solo un Vallone secondario, seppur geograficamente importantissimo e non antropizzato. Perché, anche se pochi lo sanno, la Val Grande è una delle vallate piemontesi più ricche di pareti e paretine, sempre poste in luoghi solari e bellissimi, su versanti sud ammantati da rigogliose foreste. Magari nominando Rociruta, Biollè o Mea qualcosa emerge dalla memoria del “vecchio” climber, forse per l’importanza storica di questi luoghi o forse più semplicemente per la bellezza della roccia.

Il raduno, organizzato con l’appoggio del Cai Torino, che si è fatto promotore e paladino della salvaguardia totale dell’ambiente incontaminato di Sea, si articolerà su due giorni, il 9 e 10 settembre. Il primo giorno le attività saranno concentrate a Chialamberto, comune che ci ha dato fin da subito un entusiastico appoggio, e culminerà il sabato sera con una serata, ospite Sergio Martini, secondo italiano e settimo uomo al mondo ad aver scalato tutti gli 8000, senza essere un professionista della montagna! La domenica l’evento si sposterà invece nel comune di Groscavallo dove si trova Sea, sicuramente il pezzo forte della due giorni. Il “campo base” sarà l’antico albergo Savoia, dalle atmosfere ottocentesche e di proprietà della signora Giustina “Occhi di ghiaccio”, da cui Grassi partiva per le sue scorribande a Sea. Ognuno sarà ovviamente libero di andare dove vuole e di fare cosa vuole, sotto la sua unica ed esclusiva responsabilità, insomma nessun “viaggio organizzato” ma solo un modo per trovarsi a scalare in un ambiente tipicamente alpino o, se si preferisce, alpinistico. D’altra parte già il compianto Gian Carlo Grassi scriveva che Sea ha le caratteristiche dell’ambiente di alta montagna, di quell’alpinismo che non dovrà mai essere imbrigliato e soprattutto “certificato” da regole e regolamenti perché l’alpinismo è innanzitutto libertà. Ed è anche con questi eventi che gli scalatori devono far fronte comune per non farsi rubare un giorno questa prerogativa così preziosa e rara, forse unica.
Sea vive. La festa è appena iniziata!

Dettagli evento sul sito del Cai Torino: www.caitorino.it

Ci vediamo al raduno!
Luca e Matteo Enrico
CAAI e Rocciatori Val di Sea

Video: Stefano Ghisolfi su La Capella (9b), Siurana

Il video di Stefano Ghisolfi su La Capella, la via d’arrampicata sportiva gradata 9b a Siurana in Spagna.

Per il suo 25° compleanno, che festeggia proprio oggi, Stefano Ghisolfi ha messo online il video della salita di La Capella, effettuata un mese fa a Siurana in Spagna.

Per Ghisolfi questa boulderosa via liberata da Adam Ondra nel 2011 è il quarto 9b, dopo Lapsus ad Andonno (2015), First Round, First Minute a Margalef (2017) e One Slap ad Arco (2017).

SCHEDA: la falesia Siurana, Spagna

Click Here: Cheap True Religion Jeans

Nuove vie di arrampicata su misto nelle Revelation Mountains in Alaska

Alpinismo in Alaska: il lituano Gediminas Simutis e il tedesco Frieder Wittmann hanno salito alcune nuove vie sul Fish Glacier nelle Revelation Mountains. Il report di Simutis.

La scorsa primavera insieme a Frieder Wittmann abbiamo trascorso tre settimane nel ramo sud del ghiacciaio Fish Glacier nelle Revelation Mountains in Canada. Abbiamo aperto quattro nuove vie, tre delle quali riteniamo siano su montagne precedentemente inviolate.

Il primo giorno sul ghiacciaio abbiamo salito la montagna 6905, poco a est del punto di atterraggio del piccolo aereo che ci ha portato qui. Una piacevole cresta con qualche tratto roccioso ci ha portati in cima e la lunga giornata dell’Alaska ci ha regalato ancora un po’ di tempo per adocchiare altri obiettivi della valle. La nostra montagna infatti era un ottimo punto panoramico e l’abbiamo chiamata The Prophet, il Profeta, per tutte le promesse che sembrava farci.

Dopo un giorno di riposo abbiamo scelto una linea sulla vicina montagna 8568 che abbiamo chiamato Mephisto. La via si è rivelata una versione alaskaiana di quella degli Svizzeri su Les Courtes. Perfetta neve di difficoltà moderata, con qualche tiro tecnico di tanto in tanto per farci felici. Abbiamo chiamato la nostra via Langstrasse, in onore al posto di Zurigo dove ci siamo allenati per preparare questo viaggio.

Dopo un po’ di riposo forzato a causa della nevicata, abbiamo preso di mira una cima rocciosa a nord di The Prophet. Dopo alcune ricognizioni, abbiamo deciso di tentare la sua cresta nord. Ci sono voluti diversi tentativi così abbiamo iniziato a chiamare la montagna the Charlatan, il ciarlatano, quando l’abbiamo risalita per la terza volta.

La parte finale in cresta si è rivelata più rocciosa del previsto, su granito scolpito splendidamente tanto che un po’ assomigliava all’arrampicata in Corsica. Charlatan ha tirato fuori un ultimo trucco poco prima della vetta, quando sono sbucato attraverso la cornice. Abbiamo chiamato la via Piled higher and deeper, cioè persi in un mare di libri, visto che per entrambi questo viaggio era un regalo post dottorato.

Sono seguiti un paio di giorni freddi, durante i quali abbiamo scoperto una possibile linea tra le torri di granito dell’ Obelisk Peak (9304 piedi). Questa montagna è stata scalata per la prima volta alcuni anni fa da Clint Helander e John Giraldo, ma la parete sudorientale sopra il nostro ghiacciaio non era mai stata tentata. Usando il binocolo e osservando le foto che avevamo scattate da The Prophet e The Charlatan abbiamo trovato una linea di goulotte che salivano lungo le torri di granito.

Il nostro primo tentativo si è arrestato quando ci siamo ritirati a causa dell’abbondante spindrift che ci cadeva in testa. Dopo esserci riposati e dopo aver permesso alla neve di assestarsi, siamo ritornati. Una goulotte con neve ben assestata ci ha condotto ad una serie di tiri di arrampicata di misto, che si sono rivelati la sezione chiave della via e che ci ha costretti anche ad una progressione in artificiale. Dopo la sezione di misto, una rampa di neve ci ha portato ad un tiro di ghiaccio che sembrava ingannevolmente buono, ma la sua parte inferiore ha cominciato a disintegrarsi mentre salivamo. I pendii sovrastanti sono filati lisci e ben presto abbiamo preparato il caffè in cima, mentre il sole cominciava a nascondersi dietro le altre montagne.”

The Prophet (6905 ft). It’s a girl! (~450m, PD)
Mephisto (8568) Langstrasse (~800m, M4/WI4)
The Charlatan (~ 7350 ft). Piled Higher and Deeper (~600m, AD, IV)
The Obelisk (9304 ft). Alternative Facts (~ 900m, M6, WI5, A1)

Gediminas Simutis, settembre 2017

La Fisica, l’alpinismo e la letteratura: una via per la natura e la bellezza. Di Silvia Petroni

Silvia Petroni, Fisica, alpinista e scrittrice, esplora il percorso che attraverso la natura, la scienza, l’arte e l’alpinismo avvicina alla conoscenza di sé, degli altri e del mondo.

«La natura è uno specchio, uno specchio, il più trasparente che ci sia! Guardaci dentro e ammirati, ecco!» Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Ricordo come fosse ieri l’emozione che ho provato il giorno in cui i tasselli del puzzle hanno d’improvviso combaciato perfettamente tra loro: finalmente iniziavo a comprendere la Fisica Moderna nel profondo della sua essenza.

Sino a quell’indimenticabile pomeriggio, avevo osservato il mondo attorno a me attraverso una nebbia sottile e uniforme. Una foschia aveva nascosto abilmente ai miei occhi la vera struttura della realtà: ordinata, lineare, essenziale; di un’eleganza e di un’armonia inattese.

Mi rivedo a sgranare gli occhi. Un po’ come fanno adesso i miei nipoti, quando racconto loro che la Terra gira attorno al Sole a trenta chilometri al secondo e il Sistema Solare attorno al centro della Via Lattea a duecentoventi chilometri al secondo. Allo stesso modo, in quel periodo così ricco di stimoli mentali, mi stupivo ed emozionavo di fronte alla poesia della Fisica Moderna. Sì, mi ripeto, di fronte alla poesia della struttura intrinseca della natura.

Ho imparato che l’arte è l’espressione estetica dei pensieri e della sensibilità umani. Permette di percepire la realtà in un modo nuovo, poiché di fronte all’arte interviene con forza, in ognuno di noi, la mediazione dei sensi. L’arte è bellezza. Allo stesso modo, per me, la Fisica è bellezza.

Naturalmente per capirla, per accedere alla percezione della realtà che essa svela, serve un lungo percorso di studio che, nel caso della scienza fisica, permetta di acquisire competenze matematiche raffinate. Ma dedizione e fatica non sono necessarie in ogni ambito? Applicarsi con impegno, non è indispensabile per comprendere ogni materia? Come possibile arrivare a percepire tutta la suggestione di opere come quelle di Mozart, Michelangelo, Van Gogh, Dante o Austen, senza impegnarsi nello studio.

Tutto ciò vale anche per l’alpinismo. Siamo in grado di apprezzare nel profondo la bellezza di una salita alpinistica, se conosciamo la sua storia, ovvero le vicissitudini degli uomini e delle donne che hanno compiuto i primi tentativi, di quelli che hanno rinunciato e di coloro che sono riusciti nell’impresa. Allo stesso modo, quando camminiamo in montagna, soltanto se avremo le conoscenze adeguate, i nostri sensi saranno in grado di notare un fiore o una pianta o un animale che sappiamo crescere a fatica oppure trovarsi di rado in quel particolare luogo. E, magari, ci commuoveremo nell’osservarlo.

La logica unita al guizzo d’ingegno, la “lucida follia” di alpinisti che con il solo ausilio di una cartolina si sono recati alla base di una parete immensa per risolvere uno dei massimi problemi delle Alpi; o di altri che, sui cinque chilometri di una muraglia di placche repulsive, hanno individuato una impeccabile incisione di fessure che permette di uscire dalla parete sud per antonomasia. Ma, anche, la pulita sequenza di movimenti dove grazia e forza impegnano muscoli e tendini nell’assecondare il corpo sui passaggi tecnici di una salita moderna. L’ingegnosità nel risolvere taluni grattacapi alpinistici, l’estetica delle linee individuate, l’armonia del gesto dell’arrampicata lasciano stupefatti.

Credo davvero che la scienza, l’arte, la cultura in generale aumentino lo spettro delle cose belle della vita. Ci forniscono occhi nuovi con i quali osservare la realtà intorno a noi e il premio alla nostra dedizione è la scoperta di una profondità inattesa, di un’armonia che è pura bellezza. La Fisica, l’alpinismo e la letteratura (mi concentro su di essi, poiché sono i tre aspetti che porto avanti nella mia vita), nelle loro diverse sfaccettature, sono dunque accomunati dalla bellezza e dall’impegno necessario per arrivare a coglierla in tutta la sua essenza.

Ma c’è anche altro che li accumuna. Per esempio, il coraggio e l’umiltà. Due attitudini umane di fondamentale importanza in alpinismo. Il coraggio permette di sperimentare le proprie abilità di scalatori in prossimità dei limiti individuali; l’umiltà garantisce la capacità di valutare correttamente le proprie potenzialità tecniche e mentali, presupposto di importanza cruciale per la felice conclusione di una salita.

Più forzato potrebbe apparire l’estensione di questi concetti alla Fisica o alla scrittura. Eppure, nello studio della struttura e delle dinamiche della materia ho avvertito con chiarezza la sensazione di portare al limite le mie capacità intellettive. Ho trascorso nottate nel tentativo di comprendere nel profondo gli aspetti connaturati alla fisica del mondo in cui viviamo, che appaiono, dapprincipio, così lontani dai sensi. Il coraggio e l’umiltà spronano a “mettersi in gioco”, a proseguire nel faticoso percorso di studio, pur accompagnati dalla consapevolezza che le potenzialità individuali di comprensione possano scontrarsi, da un momento all’altro, contro un muro di dimensioni e spessore infiniti…

Anche nella scrittura il coraggio e l’umiltà sono qualità cruciali. Per scrivere è fondamentale sapersi mettere in gioco completamente, pur consapevoli delle proprie lacune e debolezze. E questo non soltanto se si narrano episodi ispirati al vissuto personale. Credo che un’analisi interiore disillusa, brutale persino, sia condizione necessaria per riuscire a raccontare in forma artistica ogni aspetto della vita, ogni pensiero, sia esso legato alla realtà o alla fantasia. Il bravo scrittore sa coinvolgere il lettore anche quando racconta la quotidianità del vivere, così come il bravo pittore sa realizzare un capolavoro dipingendo la propria camera da letto.

Toccando un altro aspetto, ecco che la visione del mondo cui la Fisica permette di accedere torna d’aiuto nel ridimensionare certi cosiddetti “problemi terreni”, ovvero aiuta a collocare nella corretta gerarchia d’importanza le futili piccolezze alle quali l’indole umana appare ancorata in maniera incontrovertibile. Mi spiego.

Accade che, tra le centinaia di migliaia di trilioni di stelle presenti nel Cosmo, che decorano l’Universo osservabile per un centinaio di miliardi di anni luce, accade che – dicevo – sul nostro bel pianeta, noi, esistiamo. Siamo “pezzetti” della natura, nient’altro; e, come tali, siamo governati dalle sue leggi. La natura è abbastanza ricca da comprendere meraviglie sorprendenti (chissà quante, ancora, che non conosciamo e non conosceremo mai!) e, anche, noi. Ma c’è di più. Perché anche le pietre esistono: noi, in effetti, siamo vita. Una particolare forma di vita, che possiede un’intelligenza sviluppata e la stupefacente attività riflessiva del pensiero, ovvero la coscienza di sé. Ebbene, ho sempre trovato poco sensato sprecare la nostra dimensione mentale – questa fortuna sfacciata che ci ritroviamo! – litigando con il vicino di casa perché un ramo dell’oleandro di lui sbuca di sette centimetri all’interno della nostra proprietà. Piuttosto, trovo lungimirante dedicarsi a sfruttare appieno le proprie potenzialità.

Anche la scrittura ha questo potere su di me. La critica, l’ironica, di più, la sarcastica visione di sé e delle umane debolezze in generale, mi aiuta a percepire con una maggiore leggerezza e un certo distacco le problematiche legate ai suddetti sette centimetri del ramo di oleandro.

Infine c’è l’alpinismo, con i suoi problemi quanto mai tangibili da risolvere. Centimetro dopo centimetro, si procede con circospezione alla ricerca di una soluzione, di una “via d’uscita” al grattacapo che ha catturato con forza la nostra attenzione, tanto da averci spronato a dedicare a esso una enorme fetta delle nostre energie fisiche e mentali.

Un ultimo aspetto suscita il mio interesse. Le prime volte che io (Fisica) ho fatto leggere a mio padre Franco (critico letterario e scrittore) i miei racconti, mi aspettavo da lui più d’una correzione. Non potevo essere più lontana dal vero. Se mi sentivo indecisa a riguardo del modo di strutturare un certo periodo del testo, capitava che proponessi a mio padre due opzioni possibili. Ma lui: “Silvia, è difficile esprimersi in proposito e non sarebbe utile che lo facessi: solo tu puoi sapere qual è la forma più adatta, soltanto l’autore può discriminare tra un termine e l’altro”. Niente da fare: di consigli non ne arrivavano. Neppure quando avevo obiettato a mio padre che, almeno nel caso in cui avesse scorto nel testo qualche strafalcione di grammatica o di sintassi, allora sarebbe stato quanto mai opportuno se me lo avesse segnalato! Invece: “Anche quelli possono stare”, aveva sentenziato.

Un consiglio, uno solo, è arrivato da parte sua a riguardo della scrittura: “Silvia, ricorda cosa disse Michelangelo: ‘L’arte si fa per via di tòrre’”. Dunque, togliere, ovvero tenere l’essenziale. In caso di dubbio, a riguardo della formulazione di un concetto da esporre, era buona norma – a suo modo di vedere – quella di concentrarsi sull’essenziale e di eliminare, dunque, l’appesantimento che il superfluo porta inevitabilmente con sé. Mi indicò la strada per avvicinarmi all’arte.

Niente di più vero riguarda la scienza fisica, che da sempre mi affascina, di più, mi emoziona per la sua essenzialità. Basti pensare alle forze fondamentali che descrivono tutti i fenomeni fisici della natura, quattro soltanto (anzi tre, perché due di esse sono, in effetti, manifestazioni della medesima forza). Oppure alla affascinante sintesi proposta dal cosiddetto Modello Standard, che riassume le conoscenze attuali sui costituenti fondamentali della natura e su come essi interagiscono tra loro. Ma non mi dilungherò su un argomento che notoriamente spaventa o, altresì, che è responsabile di irreversibili attacchi di sonnolenza. Esemplifico il concetto riportando una frase del grande fisico statunitense John Wheeler, che splendidamente sintetizza l’essenzialità dei risultati della teoria della Relatività Generale: “La materia dice allo spazio-tempo come incurvarsi, e lo spazio curvo dice alla materia come muoversi”. È davvero tutto qui.

Tornando all’alpinismo, ricordavo poco innanzi una grande ovvietà, ovvero che non esistono l’uomo e la natura: l’uomo è natura, una sua parte integrante. Al contempo, si differenzia da quant’altro della natura faccia parte, poiché l’essere umano è autocosciente. Da qui il paradosso: pur essendo, noi, un “frammento” della natura, la capacità di immaginazione e di razionalità che possediamo ci allontana dalle dinamiche istintuali proprie dell’originaria armonia con la natura, e genera nella nostra mente ansie e insicurezze, attestandoci in un più o meno accentuato non-equilibrio. Fino ad arrivare all’assurdo che la nostra stessa esistenza costituisce per noi un quesito aperto.

Se la vita si rivela “un problema”, il pensiero della morte non è da meno. Emerge la dicotomia esistenziale per eccellenza, ovvero il dualismo tra la vita e la morte: la fine, il termine ultimo, l’annullamento mentale è quanto di più incompatibile vi sia con l’esperienza del vivere; eppure, la consapevolezza della propria mortalità influenza notevolmente la nostra vita. Il che pone le basi di un’altra problematica ansiogena, quella tra le nostre potenzialità e l’impossibilità della loro completa realizzazione nel tempo limitato della nostra esistenza.

Da qui l’affanno, derivante dall’inarrestabile fuga dal sé-ora, nell’illusione che il proiettarsi in un sé rigorosamente successivo al sé-presente dia una sorta di “immortalità” e, dunque, di illimitatezza delle nostre possibilità di azione e di pensiero. La tecnologia ci viene in aiuto. La velocità dei tempi moderni, le facilitazioni delle quali ci siamo circondati veicolano la nostra brama di vita nell’immediatamente successivo al qui e ora.

La struttura sociale pianifica i nostri pensieri, le nostre azioni e i nostri svaghi; soffoca istinti primordiali quali la sete e la fame, il freddo e il caldo, la fatica e la spossatezza, privandoci della possibilità di godere appieno della soddisfazione degli stessi. Reprime anche la nostra fantasia, le energie, la curiosità e lo spirito di avventura, istinto primordiale quanto mai impetuoso nell’essere umano. Eppure, noi stessi abbiamo contribuito a costruire questa organizzazione sociale e, giorno dopo giorno, la sosteniamo con la nostra economia.

Tornare al mare, ai deserti, alle foreste, alle montagne, significa interrompere la corsa assennata verso la proiezione alternativa al contesto presente. Significa riprendere contatto con la dimensione passata, con le nostre radici interiori. Proviamo piacere nell’utilizzare appieno l’energia dei nostri muscoli mentre corriamo e saltiamo, ed entusiasmo nel toccare la roccia quando ci arrampichiamo su di essa oppure nel sentire l’acqua che avvolge il nostro corpo durante un tuffo in mare. Si tratta di una “essenzialità” non antropologica, forse, legata al periodo storico e alla nostra cultura, direbbero gli studiosi, ma della quale, io credo, la nostra indole soffre quando privata.

Trascinati dalle dinamiche comportamentali che si sono consolidate e da una tecnologia che sopprime attitudini manuali e sensoriali ancestrali, veniamo colti soltanto sporadicamente dalla percezione di perdere qualcosa che apparteneva, chissà quando, alle nostra essenza di esseri viventi. Di questo palinsesto mentale opprimente che fagocita la mia indole per risputarla fuori smembrata, mi rendo conto con lucidità in montagna, mentre scalo. La matassa ingarbugliata e sgangherata di quel che resta di me pulsa ancora di vita; lo sento, e ho la serenità e la lucidità, immersa tra le rocce, di arrestare la mia corsa ossessiva per dedicarmi con impegno a raccogliere i brandelli rimasti della mia “essenzialità”. Riesco così, in qualche modo, a “ricostruirmi”; tornando a una naturalità della quale, costretta nel cemento urbano, avevo perso la dimensione. Aguzzo la vista, apro le orecchie, studio, ragiono, valuto, prendo decisioni importanti, talvolta cruciali. Svaniscono ansie, dubbi, indecisioni, smarrimenti; mi scopro saper controllare con pragmatismo la paura. Gestisco appieno me stessa, qualcosa di magnifico, cui non ero quasi più abituata. E, una volta “approdati a se stessi”, accade persino che la conoscenza dell’“altro da sé” risulti più accessibile, perché meno impenetrabile.

Ecco che il massiccio prorompere della tecnologia nella dimensione naturale, nella quale ci rifugiamo per dimenticare la ottimizzata funzionalità moderna, può venirci in aiuto nell’alleviare fatiche fisiche e nel risolvere problemi contingenti ma, al contempo, sterilizza le nostre pulsioni istintuali, vanificando il cristallizzarsi della consapevolezza della nostra dimensione intellettiva ed emotiva.

Dunque, “La natura è uno specchio”, un ritratto che ci permettere di osservare noi stessi. La società è pure uno specchio della nostra indole e delle nostre potenzialità; ma, io credo, l’immagine di noi che essa genera è, quando più quando meno, un’immagine deformata…

In conclusione, la scienza fisica per prima, l’alpinismo in seguito e la letteratura in ultimo – l’ordine con cui sono entrate a far parte della mia esperienza di vita – sono passioni che hanno cambiato e che modificano, giorno dopo giorno, il modo con il quale percepisco il mondo. Non potrei vivere senza la possibilità di dare libero sfogo alle forme espressive che scalpitano in me. Mi vengono in mente quegli artisti di strada che si incontrano di sovente nei vicoli storti dei centri storici. Le loro mani, il loro viso, i loro abiti: un tutt’uno con i mozziconi di pastelli che stringono tra le dita. Incurvati dai loro pensieri, dipingono sull’asfalto, pur consapevoli che la pioggia laverà via, in breve, le loro sensibilità.

Silvia Petroni

Silvia Petroni è nata a Pisa, città dove ha compiuto gli studi universitari conseguendo la Laurea e il Dottorato di Ricerca in Fisica. Nel 2009 ha vinto il primo premio nella sezione inediti della VII edizione del Premio Letterario Nazionale “Leggimontagna” con il racconto dal titolo Notte nel cielo; nel 2010 ha vinto il primo premio nella sezione inediti della XIV edizione del Concorso di Narrativa di montagna “Carlo Mauri” con il racconto dal titolo Lo zio Gabriele. Entrambi sono contenuti nel suo libro “IL VUOTO TRA GLI ATOMI” (edizioni ETS) con il quale ha vinto il 3° posto per la narrativa del Premio Letterario Leggimontagna 2017 (vedi video)

Silvia Petroni si dedica alla divulgazione dell’alpinismo attraverso conferenze e proiezioni riguardanti la sua attività su roccia, ghiaccio e misto.
>> FB Silvia Petroni
>> Tutti i video di Silvia Petroni

Click Here: USA Mens Soccer Jersey

Ali Sadpara, l’Himalaya, l’alpinismo e gli uomini

Il ritratto di Muhammad Ali Sadpara, l’alpinista pachistano che insieme ad Alex Txikon e Simone Moro, ha realizzato la prima salita invernale del Nanga Parbat nel 2016 ed ora è impegnato con lo stesso Txikon nel tentativo di invernale senza ossigeno dell’Everest. Di Domenico Perri.

Oggi, 2 gennaio 2018, Gorak Shep. E’ nato un legame fraterno con Ali Sadpara. Il valore di un legame fra due persone si misura attraverso il non detto. Non solo a parole. Si è plasmato lentamente, durante il cammino verso il campo base, attraverso scambi di frammenti delle nostre reciproche esperienze, delle mie due spedizioni in Karakorum nel 2011 e nel 2014, ove ebbi occasione di vivere la bellezza e la ricchezza di un popolo ancora intatto, nella lingua, cultura, valori e dotato di un forte senso di appartenenza, nonostante i massicci interventi di islamizzazione e gli scarsi interventi del governo centrale in aiuto dell’economie locali.

In lui avvertivo il sincero desiderio di sostenere la crescita della sua comunità ma spesso coglievo in lui il senso di disincanto verso un governo sordo ad ogni richiamo. Di non poter creare ricchezza attraverso risorse ambientali enormi ma affatto riconosciute, se non per spremere tasse dalle popolazioni locali senza investimenti di ritorno. Da qui il suo senso di rabbia. Soprattutto nel constatare come le comunità Sherpa erano in grado di creare ricchezza attraverso il turismo e l’alpinismo. In tutto l’anno. di questo e di altro ci siamo detti. Ma anche del suo sogno di sostenere i suoi figli e creare loro un futuro attraverso una formazione scolastica (privata con costi importanti). È il risentimento e la frustrazione di non veder riconosciute le sue imprese alpinistiche nel suo paese. Un desiderio di raccontarsi, quasi liberatorio, che ci ha stretti l’un l’altro, in un legame fraterno. Nato, casualmente grazie ad una pura coincidenza, ritrovandoci a Kathmandu lo stesso giorno ma in largo anticipo sugli altri membri della spedizione.

Stamattina, verso le 8, con un freddo pungente ed una frugale colazione ci siamo incamminati verso la vetta del Kala Pattar, un contrafforte roccioso che sovrasta la valle, a 5550 metri. Giornata limpida e fredda, come ormai accade da settimane, equipaggiati con due stecche e una buona giacca a vento. Il dislivello non è eccessivo, poco più di 300 metri ma su uno sviluppo di qualche km. Dinanzi a noi una cintura di montagne, è la grande piramide del Nuptse, 7864 metri. Ali procede rapido ed io faccio fatica a seguirlo. Appena sulla rampa, avverto tutta la fatica di questi ultimi giorni e la scarsa ossigenazione della quota. Stanotte ero insonne e il freddo penetrava dappertutto nella stanza, persino la bottiglia dell’acqua era congelata. Una stanza di cartongesso e una finestrella a separarci dal vento freddo del ghiacciaio.

Procediamo regolari sul pendio, su un sentiero poco ripido. Giungiamo su un altopiano, dove sorge una rampa di atterraggio per elicotteri. Ben presto notiamo nell’aria sciami di elicotteri sorvolare il ghiacciaio, atterrare, scaricare decine di danarosi turisti, due selfie e poi ripartire. Noi avanziamo lenti verso la vetta, i miei pensieri sono vuoti, ricordi, persone, immagini, vissuti di altri luoghi si condensano tutti in una sorta di girandola veloce, e la sensazione chiara di vivere in un luogo magico e sentire che non c’è più posto dentro per altre emozioni.

Ali mi precede di un centinaio di metri, ormai è il mio compagno fidato, mi sostiene e mi aiuta anche nelle piccole cose, con il suo sorriso autentico. Ieri mi aveva confidato di sentirsi un po’ stanco, aveva vissuto una stagione intensa, sul Broad Peak, unica spedizione che ha raggiunto la vetta tra 26 spedizioni tutte fallite e poi la risalita alla vetta del Nanga Parbat, e infine il rischioso intervento di recupero della cordata argentina, sulla Mazeno Ridge al Nanga.

Sì, un po’ di stanchezza in un uomo semplice e forte, nato e vissuto nel cuore del Karakorum. Un uomo che negli ultimi dieci anni ha macinato scalate su vette importanti soprattutto in inverno, al Gasherbrum I con i polacchi nel 2012, dove, a causa di un principio di congelamento ai piedi, fu soccorso da Alex Txikon e fatto trasferire con elicottero a Skardu, mentre i polacchi festeggiavano la loro prima invernale sul GI e la spedizione austriaca di cui Alex era membro piangeva i suoi tre componenti, scomparsi a pochi metri dalla vetta. Allora Ali ebbe la chiara sensazione che la salita di una vetta raccontasse molte storie diverse. Tuttavia la sua strada era tracciata.

Dopo la salita invernale al GI, alcuni ottomila in Karakorum, il tentativo fallito nel 2015 della prima invernale al Nanga Parbat con Txikon e Nardi, mancato a pochi metri dalla vetta per un suo errore di valutazione, ridisceso poi alla base dei canali, a ottomila metri, ma ormai in condizioni al limite della sopravvivenza, con la sensazione di sfinimento che precede la morte, chiese ai suoi compagni, con un atto di estrema generosità, di salire in vetta senza di lui . Ma il grande “corazón” di Alex, gli aveva dettato la migliore delle soluzioni, recuperare Ali e rientrare. Così fu. Ali fu sostenuto e rifocillato, riuscendo così a riportarlo sano e salvo al campo base dopo lunghissime ore di sofferenza. Da allora fra i due si era generato un sodalizio fraterno, che li avrebbe fatti ritrovare l’anno successivo, il 2016, lo stesso team e un nuovo tentativo di scalata in invernale al Nanga, ancora inviolato, nonostante numerosi tentativi di grossi team internazionali (Nardi, Nardi e Revol, i polacchi).

Ali in questi giorni mi aveva confidato che il segreto del successo di una spedizione su un ottomila, tanto più in invernale, consiste nel legame tra gli alpinisti, basato sul rispetto reciproco, empatia e affetto, passione e capacità strategiche nel condividere un obiettivo comune. Un legame di sangue, forte e sincero. Non un rapporto condizionato e programmato per convenienza e opportunismo dagli sponsor, ormai i decisori occulti di ogni spedizione moderna. E Ali non si era tirato indietro. Accettò con entusiasmo l’invito di Alex, in fondo era un team già collaudato in precedenza. Nel frattempo Alex e Nardi si erano acclimatati in Sud America, credo sull’Oyo de Salado, e si erano preparati con scrupolo alla scalata del Nanga. Era un obiettivo ambizioso e sospirato da molti alpinisti, tutti decisi a prendersi gli onori della prima assoluta al Nanga. Ma solo ai più forti e dotati di capacità straordinarie, sovrumane (il titolo del Film di Alex sull’Everest) progettuali e di intelligenza strategica unica, e’ concesso il successo. In effetti nel team di Alex c’erano tutti gli ingredienti del successo. Salvo alcuni intoppi, non prevedibili né attesi, legati alle condizioni psicologiche ed ai tratti di personalità di ciascun membro.

Nel frattempo Simone Moro e Tamara Lunger si erano aggregati con il team di Alex, chiedendo di poter usare le corde montate sulla via fin quasi a settemila metri da Ali. Poco tempo dopo, Alex Txikon, M. Ali Sadpara, Simone Moro e Tamara Lunger, appena poco sotto a vetta, avrebbero raggiunto la cima del Nanga Parbat, grazie al faticoso lavoro di posizionamento delle corde sui passaggi difficili, di Ali Sadpara, a cui va il mio personale, modesto riconoscimento.

Oggi Ali Sadpara è il compagno di cordata di Alex Txikon, nel secondo tentativo di scalata del Tetto del Mondo. Pochi mesi fa una forte cordata polacca, secondo tentativo dopo i russi di prima invernale assoluta sul K2, lo aveva invitato a far parte del team. Quasi contemporaneamente, Alex Txikon aveva proposto ad Ali di tentare insieme la scalata dell’Everest “sin oxigeno”, Ali ha deciso, senza ripensamenti, la seconda opzione.

Tutto quanto riferito in questo scritto è il risultato e la registrazione di una testimonianza personale di Ali Sadpara, durante la risalita della Khumbu Valley

Gorak Shep, 4 gennaio 2018.

Domenico Perri (inviato speciale di planetmountain.com)

PS. Il 5 gennaio, in occasione del mio compleanno, festeggiato insieme al campo base, Ali si era lanciato in una danza baltì, piroettando sui piedi come un ballerino provetto. Al mattino del 6 gennaio, ci siamo salutati e abbracciati. Io ho intrapreso la via del ritorno, con un po’ di tristezza dentro, ma totalmente appagato. Il 6 gennaio, Ali Sadpara e Temba “Patagonia” Sherpa, in accordo con Txikon (impegnato ad attrezzare la seraccata del Khumbu con alcuni sherpa), si sono apprestati a montare insieme la via di salita al Pumori, un massiccio di oltre 7mila metri, in prossimità del circolo glaciale del Khumbu, come primo acclimatamento preliminare alla salita dell’Everest.

info: Everest 2018 Winter Expedition b.c. 5364 m

Click Here: cheap Wallpape

Daniel Woods chiude La Capella 9b a Siurana

Arrampicata sportiva: il climber statunitense Daniel Woods ha salito la sua prima via d’arrampicata sportiva gradata 9b, La Capella a Siurana in Spagna.

Anche lo statunitense Daniel Woods si aggiudica La Capella, la boulderosa via a Siurana liberata da Adam Ondra nel 2011 e ritornata alla ribalta a metà gennaio quando Stefano Ghisolfi si era aggiudicato la prima ripetizione.

La via offre una sezione intensissima proprio nei primissimi metri – si parla di tre boulder, uno di 8A+ seguito da sette feroci movimenti gradati 8A+/B e per concludere un 7C – non sorprende quindi che a venirne a capo sia stato uno dei più forti boulderisti di sempre.

Finora in falesia il ventottenne Woods si era spinto fino al 9a+, ripetendo Papichulo ad Oliana (2016) e Thor’s Hammer 9a+ a Flatanger – Hanshellern in Norvegia (2015). Arrivato a Siurana a metà febbraio, la rotpunkt di la Capella è avvenuta dopo soli 5 giorni di tentativi. Adesso gliene rimangono altri 81 in Spagna prima di rientrare negli USA, vedremo cos’altro riuscirà a combinare…

SCHEDA: la falesia Siurana, Spagna

Click Here: cheap pandora Rings

Vogue e Caribe, nuove vie di Marco Farina e Roberto Ferraris nel Vallone di Faudery

Il report di Marco Farina che insieme a Roberto Ferraris ha aperto Vogue e Caribe, due vie d’arrampicata di ghiaccio e misto nel Vallone di Faudery, Valle d’Aosta.

Nel gennaio del 2005 mio fratello Massimo, il socio di sempre “Berna” ed ioabbiamo aperto la prima cascata del vallone di Faudery, sulla costieradell’Aroletta (Valpelline, Valle d’Aosta).

Questo vallone poco frequentato mi ha incantato,proprio lì infattihoaperto altre 7 viedi ghiaccio e misto e ogni volta ho cercato di mantenere uno stiletradizionale, senza l’uso di spit.

Questo perché volevo, che chi si fosse avventurato in questo angoloselvaggio di valle dopo di me, potesse trovare la montagna quasi come l’hotrovata io 14 anni fa. Il lungo avvicinamento, appartato e lontano dalla folla,ne fa una meta per veri appassionati.

Le ultime vie, aperte con l’amico Roberto Ferraris, sono Happy Birthday eVogue su difficoltà moderate. Vogue, riprende il primo tiro della via tracciatadalle guide Giovanni Pezzoli e Piero Rosset il 9 ottobre 1955, mai ripetuta.

Caribe invece è un itinerario bellissimo e ardito: vanta difficoltà alte,necessità di proteggersi, lunghezza e ambiente isolato. Tutti fattori che,uniti, ne fanno una via da non perdere…

di Marco Farina

SCHEDA: Vogue, Vallone diFaudery

SCHEDA: Caribe, Vallone diFaudery

SCHEDA: Happy Birthday, Vallone diFaudery


Vallone di Faudery e le vie di Marco Farina

La Dame de Faudery 2005 insieme a Massimo Farina e Marco Bernardi
No spit in Faudery 2013 insieme a Marco Bernardi
La chicca 2013 insieme a Marco Bernardi
Fin che il diavolo è matto 2013 insieme a Francois Cazzanelli
Happy Birthday 2018 insieme a Roberto Ferraris
Vogue 2019 insieme a Roberto Ferraris
Caribe 2019 insieme a Roberto Ferraris

Link: guidealpinecogne.it, www.sportmilitarealpino.eu, Montane

Click Here: afl store