Stefano Ghisolfi libera un nuova 9a a Massone, Arco

Il climber torinese Stefano Ghisolfi ha liberato Under Vibes 9a nella falesia di Massone ad Arco.

Massone, forse la falesia ad Arco che più di tutte sembrava aver esaurito già da tempo il suo potenziale, continua a regalare nuovi tiri. Mentre il primo settore è stato ampliato di recente dall’instancabile team Friends of Arco capitanato da Mauro Girardi con una serie di nuove vie facili, nella strapiombante cava del settore Pueblo c’è ora una nuova via liberata da Stefano Ghisolfi che è la più difficile di questa storica falesia.

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Si tratta di Under Vibes, chiodata qualche anno fa da Marco Ronchi per combinare due vie esistenti, Underground 9a e Reinis vibes 8c. Infatti, dopo il primo blocco di Underground invece di uscire a sinistra del pilastro la via esce a destra e si collega all’inizio di Reinis vibes per creare quello che Ghisolfi descrive come “una delle vie lunghe che ho mai salito.” Un autentico viaggio di oltre 40m che, ricordiamo, arriva dopo la rotpunkt di Underground da parte di Ghisolfi l’estate scorsa e anche la prima salita del 9a TCT a Gravere, dedicata a Tito Claudio Traversa.

SCHEDA: la falesia Massone, Arco

Sachi Amma alla ricerca di nuove sfide in Spagna

In meno di un mese il climber giapponese Sachi Amma ha salito 6 vie tra il 9a e il 9b tra Oliana e Santa Linya in Spagna.

L’obiettivo che si era prefissato Sachi Amma quest’anno era salire 10 vie di 9a o più difficili, ma se il giapponese continua a questo ritmo, dovrà velocemente pensare ad una nuova sfida. Infatti, dopo il 9b di Fight or Flight ad Oliana è scattato, come lui stesso ammette, la molla e nei giorni successivi ha chiuso i conti con la vicina Joe-cita 9a e con Power Inverter 9a+, mentre nell’ultra strapiombante grotta di Santa Linya ha salito Fuck the System 9a e il 9a+ di Catxasa al quarto tentativo. A questi bisogna anche aggiungere l’inizio di questa incredibile corsa di fine gennaio, ovvero il 9a di Seleccio Natural Left Exit a Santa Linya… in tutto sei vie: un 9b, tre 9a e 2 9a+. Sì, fra poco dovrà anche lui alzare l’asticella.

Valanga sullo Shisha Pangma, Andrea Zambaldi e Sebastian Haag perdono la vita

Il 24/09/2014 hanno perso la vita l’alpinista italiano Andrea Zambaldi e l’alpinista tedesco Sebastian Haag. I due sono stati travolti da una valanga sotto la cima dello Shisha Pangma (8027m), Tibet. Martin Maier, il terzo alpinista travolto dalla valanga, si è salvato.

Il 24 settembre durante il secondo tentativo per la cima dello Shisha Pangma della spedizione Double8 – che si proponeva di salire 2 Ottomila coprendo i 160 km di distanza tra Shisha Pangma e Cho Oyu in mountain bike – si è staccata una valanga poco sotto la cima. Sebastian Haag e Andrea Zambaldi sono stati travolti e non sono più stati trovati. Ecco il messaggio che Benedikt Böhm ha spedito dal campo base:

“Nel pomeriggio del 23/09/2014 alle ore 16.30 Benedikt Boehm (37 anni) e Ueli Steck (38 anni) sono partiti dal campo base (5,600m) per tentare una salita in velocità dello Shisha Pangma. Il loro progetto era di raggiungere la vetta la mattina del 24/09/2014 insieme ad altri membri del team, Sebastian Haag (36) che partiva dal Campo 1 (6.300m), e Martin Maier (40) e Andrea Zambaldi (32) che partivano dal Campo 2 (6.800m).

Come previsto, hanno incontrato Haag alle ore 20.00 al Campo 1 e hanno proseguito la salita insieme. Nello stesso momento Maier e Zambaldi sono partiti dal Campo 2 (6.800m) per la cima. I cinque alpinisti si sono riuniti alle 01:00 del 24/09/2014 sotto il Campo 3 a circa 7.100 metri e hanno raggiunto il Campo 3 alle 02:00.

Essendo stati i primi a salire sopra il Camp 2, il team ha dovuto continuamente battere la traccia. Alle 6:50 il team si trovava a circa 100 metri dalla vetta. La fiducia e la motivazione erano alte, visto che il team aveva lavorato bene insieme per proseguire verso l’alto. Erano sicuri di raggiungere la vetta alle ore 08:00.

Alle 06:55 (ora nepalese) Haag, Zambaldi e Maier sono stati travolti da una valanga a 7.900m, circa 100m sotto la cima. I tre sono stati trascinati verso il basso per circa 600m di dislivello, per un ripido ghiacciaio e in un’altra zona della parete.

Boehm e Steck hanno subito contattato il Campo Base per chiedere aiuto e supporto mentre scendevano lungo la via di salita verso il Campo 3 per attraversare la zona di valanga e cercare i tre alpinisti. Per oltre quattro ore hanno cercato di entrare nella zona della valanga da più lati, ma alla fine sono dovuti tornare indietro: era impossibile arrivarci.

La mattina del 25/09/2014 Maier, che ha raggiunto autonomamente il Campo 3, è stato accolto da uno Sherpa team di soccorso. Era cosciente e attualmente sta scendendo al Campo Base. Haag e Zambaldi sono stati sepolti dalla valanga e non sono stati trovati.”

Andrea Zambaldi e Sebastian Haag erano molto conosciuti e lavoravano per il gruppo Salewa.

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Nina Caprez e Marc Le Menestrel ripetono Hannibals Alptraum in Rätikon

Intervista a Nina Caprez che, insieme a Marc Le Menestrel, ha ripetuto Hannibals Alptraum, la difficile via d’arrampicata di Martin Scheel e Robert Bösch in Rätikon, Svizzera.

La scorsa settimana la svizzera Nina Caprez ha ripetuto Hannibals Alptraum, la bella, difficile e raramente ripetuta via situata sulla 4° Kirchlispitze nel massiccio del Rätikon in Svizzera. Aperta dal basso nel luglio del 1986 da due dei più forti climbers, non solo della confederazione elvetica, dell’epoca – Martin Scheel e Robert Bösch – nel corso degli anni questa via è diventata rinomata per la sua complessa miscela di movimenti tecnici abbinata ad una arrampicata assolutamente obbligatoria, distante dalle ultime protezioni. E anche se – almeno sulla carta – i cinque tiri sono meno estremi di molte altre vie test, questo Alptraum, questo ”incubo” ha causato notti insonni a molti. Negli ultimi anni la Caprez si è creata un curriculum di tutto rispetto, sia in falesia con vie fino all’ 8c+, sia in montagna, dove spicca la prima salita femminile di Silbergeier, la via posta immediatamente a sinistra di Hannibals Alptraum. Ma Hannibals Alptraum è diversa, dai suoi precedenti due tentativi la Caprez è sempre tornata “completamente battuta”, come lei stessa ha ammesso. Questa via di quasi 30 anni fa è, anche per gli standard di oggi, difficile da decifrare, e quest’estate la Caprez è tornata per scoprire esattamente perché… insieme alla leggenda francese dell’arrampicata Marc le Menestrel.

Nina, successo, congratulazioni, al terzo tentativo!
Sì, grazie, sono felicissima! Avevo provato questa via nel 2009 con Simon Riediker e poi, dopo Silbergeier nel 2011, sono tornata nel 2013 con Mélissa Le Nevé. Ogni volta la via ci ha veramente dato del filo da torcere, ci ha letteralmente sbattuti, fisicamente e anche psicologicamente. Ma allo stesso tempo offriva semplicemente un’arrampicata straordinaria, un capolavoro di apertura che ha continuato a lavorare pian pianino nella mia mente.

Ecco il motivo per cui sei tornata quest’estate
Con Marc Le Menestrel, uno che ne sa qualcosa dell’arrampicata tecnica stile anni ’80! Sì, mi sono sempre chiesta perché Hannibals Alptraum fosse così difficile. E perché i primi salitori avevano apparentemente sottogradato così tanto questa via. Voglio dire: ho fatto alcune vie difficili in passato, ma qui proprio non facevo progressi. E non ero l’unica. Forse perché non siamo più in grado di affrontare quel tipo di scalata? Oppure c’era un altro motivo? Dovevo assolutamente sapere perché.

La via è stata aperta da due che conosci molto bene, due tuoi amici, Martin Scheel e Robert Bösch
Sì, quello che Martin e Röbi hanno fatto all’epoca è assolutamente incredibile. Hanno seguito l’etica severa che allora era già in vigore nel Rätikon, ma anche in altre parti, aprendo dal basso, piantando spit soltanto dove riuscivano ad appendersi ad un cliff. Nessun spittaggio appesi a un altro spit. Il risultato è un’arrampicata molto difficile con protezioni molti distanti, su un tipo di scalata di cui erano padroni. Detto questo è importante capire anche un altro particolare significativo: mentre hanno aperto la via – e hanno salito in libera tutte le sue sezioni – non hanno fatto la prima libera in continuità, la prima rotpunkt diciamo. Il loro scopo all’epoca era semplicemente quello di aprire questa linea da sogno – o incubo – e sono stati soddisfatti del risultato.

Allora, chi ha fatto la prima libera della via?
Oh, non ne ho la più pallida idea. C’è un libro di vetta firmata da diversi climbers, tra cui il compianto Peter Schäffler molti anni fa, ma davvero non è chiaro chi ha fatto la prima rotpunkt.

Quindi, non avendolo fatto tutto in continuità spiega forse in parte perché il grado originale della via è così difficile
Solo in parte. L’altro motivo è che lo stile dell’arrampicata è proprio così aleatorio. È pazzesco, non hai mai una buona presa, è sempre un gioco snervante di equilibri, di impercettibili sensazioni, di movimenti del corpo millimetrici che fanno la differenza. Quindi non sei mai sicuro se riuscirai oppure no. Precisione e sensibilità, abbinata ad un estenuante gioco di nervi, visto che alcuni dei run-out sono davvero luuunghi… questo è quello che rende la via così speciale. Non è tanto una questione di essere forti, qui devi veramente sapere come usare i piedi…

Per la cronaca, se dovessi dare un grado alla via…
Realisticamente? Marc e io siamo d’accordo su quanto segue per i cinque tiri: 7b+, 8a, 8a, 8a, 7b+. Ma, come ho già detto, non bisogna lasciarsi ingannare dai gradi sulla carta, non appena inizi Hannibals Alptraum, entri in una dimensione completamente diversa.

Parlaci allora dei progressi di quest’anno
Beh sono tornata con Marc pochi giorni fa. Tornare in Rätikon per la prima volta dopo un paio di anni di assenza è stata una catastrofe completa! Abbiamo preso calci in culo! Poi dopo un giorno di riposo siamo tornati e le cose sono andate un po’ meglio, ho salito i primi due tiri senza problemi, poi sono caduta una volta sul terzo tiro, poi ho verificato il quarto tiro. Un mostro! 10 voli di oltre venti metri, mentalmente ero a pezzi, ma in qualche modo sono riuscita a venirne fuori e a raggiungere la sosta. Marc ha provato l’ultimo tiro e ci siamo calati. Dopo un altro giorno di riposo abbiamo deciso che volevamo solo andare per scalare. Nessuna pressione, non siamo tornati su per chiudere la via. Ho subito salito in rotpunkt i primi tre tiri, poi ho provato il quarto tiro e con mia sorpresa ci sono riuscita al secondo tentativo.

Rimaneva quell’ultimo tiro ‘facile’…
Sì, pensavo di avere già il gatto nel sacco. Ma il quinto tiro ha un lato oscuro, un difficilissimo boulder, davvero aleatorio. Continuavo a cadere, più e più volte. Alla fine ho impiegato 7 tentativi per la rotpunkt, abbiamo raggiunto la fine della via al buio!

Ora che hai fatto la via, cosa altro ci puoi dire della prima salita?
Tutto quello che posso dire è che ho un enorme rispetto per Martin e Robert. Fare tutta quell’arrampicata obbligatoria, dal basso, non sapendo se fosse possibile salire, facendo quei voli lunghi… straordinario.

Un’eredità che hanno lasciato a tutti
Si, però solo se giochiamo con le stesse regole. Sai, le persone sono ovviamente libere di interpretare l’arrampicata come vogliono, ma devo dire che vedere gente su Silbergeier con un bastone lungo, per rinviare gli spit distanti, mi ha davvero sorpresa. Il punto su vie come questa è salire in maniera più equa possibile, no? Utilizzando un bastone non hai nessun rispetto verso l’etica della prima salita, verso la storia dell’arrampicata, significa che ti stai completamente perdendo una parte importante del gioco.

Ascoltandoti si capisce che per te Hannibals Alptraum ha un valore speciale
Di sicuro! Per varie ragioni. Tanto per cominciare, la via è stato aperta l’anno in cui sono nata! Incredibile pensare quello che si faceva prima ancora che io ci fossi 😉 Poi c’è il fatto che l’ho fatta con Marc, e il giorno in cui l’abbiamo salita siamo stati fotografati proprio da Röbi! E c’è anche un’altra bella coincidenza – abbiamo raggiunto la cima al buio la stessa notte in cui la mia amica Barbara Zangerl ha raggiunto la cima di Bellavista nelle Dolomiti. E, ultimo ma non meno importante, c’è appunto quella linea, è semplicemente una via straordinaria. Non è la più difficile che abbia mai scalato, ma è sicuramente una della più difficili e qualcosa di cui andrò sempre fiera.

Parlando appunto di grande difficoltà, ecco una domanda che siamo sicuri molti si chiederanno: adesso hai in mente in salire Orbayu? La scorsa estate avevi fatto tutti i tiri singolarmente, ma non in continuità. Ritornerai?
No. Orbayu era ed è un capitolo molto importante della mia carriera arrampicatoria, ma è sicuramente chiuso. Ho dato tutto quello che avevo, sono contenta di quello che sono riuscita a fare, ma comunque alla fine dei conti non è bastato. Accettare tutto questo non è stato facile. Sì, Orbayu è di gran lunga la cosa più difficile che io abbia mai provato, ma ancora più importante, è la prima volta che ho dovuto affrontare il fallimento, il primo progetto che non sono riuscita a completare esattamente come volevo io. Alla fine mi sono resa conto che il successo non può venire a qualsiasi prezzo.

Cioè?
So di aver dato il mio meglio, giocando seguendo le mie regole, e così va bene. Alcune persone ricorrono ad altre tattiche, a volte borderline, solo per salire una via in particolare. Ma sai, la mia scalata è fatta di così tanta gioia, di tanto amore per questo sport. E se quella felicità, quell’entusiasmo non ci sono, allora non mi sento me stessa. Se non sono contenta di quello che sto facendo – e come la sto facendo – allora non sono Nina. Accettare il fallimento mi ha reso felice.

E ora, scommettiamo, sei ancora più felice!
Si! Dopo due giorni passati a rilassarci a casa dei miei, giovedì siamo tornati ad Hannibals Alptraum. Le condizioni erano perfette, Marc era super motivato! Avevamo ancora il materiale sulle soste, i rinvii sui tiri, e questo era motivo sufficiente per Marc per salire tutto da capocordata. E, ci credereste, ha salito tutti i 5 tiri senza cadere! Vecchia volpe della tecnica! Per me è stata una sensazione incredibile trattarlo come un principe, avevo già salito la via e potevo dargli tutta la mia attenzione ed energia. Portando il suo zaino, preparandogli da bere, dandogli il cibo. Siamo stati un team vero, proprio come dovrebbe essere!

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Mondiali Giovanili di Arco. Assegnati tutti i titoli iridati del Boulder. L’italiano Filip Schenk è campione mondiale Youth B

Primi verdetti e titoli iridati dei Mondiali Giovanili di Arrampicata Sportiva di Arco. Oggi sono stati assegnati i sei titoli del Boulder. L’azzurro Filip Schenk è il nuovo campione mondiale del Boulder per la cat. Under 16. La torinese Asja Gollo è bronzo nella Under 18.

Categoria Youth B – Under 16
L’italiano Filip Schenk e la statunitense Ashima Shiraishi sono i campioni mondiali Youth B. Nella stessa categoria, Under 16, l’altro finalista azzurro David Piccolruaz si è piazzato al 5° posto. Vice campioni del mondo sono il giapponese Keita Dohi e la russa Elena Krasovskaia. La medaglia di bronzo è andata al belga Lukas Franckaert e alla slovena Vita Lukan.

Categoria Youth A – Under 18
Nella categoria Youth A (Under 18) il titolo mondiale Boulder è andato al giapponese Yoshiyuki Ogata e alla slovena Janja Garnbret. Medaglia d’argento all’altro giapponese Kai Harada e alla statunitense Margo Hayes. Medaglia di bronzo e terzo posto per il francese Hugo Parmentier e per l’italiana Asja Gollo.

Juniors
Il titolo mondiale Juniors è andato al coreano Jongwon Chon e alla serba Stasa Gejo. Al secondo posto si sono piazzati il francese Nicolas Pelorson e la giapponese Miho Nonaka. Terzi lo sloveno Anze Peharc e l’austriaca Jessica Pilz.

Domani ad Arco si continua con il Campionato del Mondo Giovanile, in programma le qualificazioni Lead.

TUTTI I REPORT FINALI
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Giochi Verticali sulle vie di Giovanni Gandin in Grignetta

Ivo Ferrari e i percorsi (concatenamenti) della fantasia applicata all’arrampicata: una giornata sulle vie di Giovanni Gandin in Grignetta.

Potremmo fare quello, o forse meglio quest’altro, ma se poi uniamo quelle… Bene, come sempre “tocca studiare” cosa combinare la prossima domenica, quasi ce l’avesse ordinato il dottore “Dovete scalare assolutamente!”. Apro la guida grigia delle Grigne ed il primo nome che mi capita sottocchio è quello di Giovanni Gandin, un bergamasco come me, Super! Anche Lui in “trasferta” nel lecchese per cause.. Beh la causa è quasi sempre quella!

Cerco le Gandin più belle, dove la roccia ci può lasciare arrampicare senza usare più dell’adrenalina necessaria. Cinque sparse qua e là in una Grignetta d’inizio stagione, dai colori forti e dal bianco e nero accentuato. Con Silvano non devo insistere in niente, patti chiari, Amicizia lunga (così si dice ma NON sempre è).

Lui decide di salire con calma verso il Cinquantenario ad aspettarmi, mentre io inizio la giornata con la prima Gandin alla Punta Giulia. Salgo velocemente il ripido sentiero, in questa parte della Grignetta prolificano le fastidiose e pericolose zecche, che tanto amano attaccarsi sul mio corpo! Oggi non ho portato l’orologio, semplicemente me ne sono dimenticato… Salgo e scendo, riprendo lo zaino e via verso il Cinquantenario, dove trovo Silvano già pronto.

La Gandin al Cinquantenario è una delle Perle del Gruppo, logica e dura, lineare e contorta. Sull’esile cima suoniamo la Campana come è quasi d’obbligo, e con qualche “doppietta” ritorniamo alla base, un giro al Rifugio Rosalba e ci lasciamo nuovamente, ma oggi va così, sono gli ultimi colpi tra due teste diverse. Io attacco lo Spigolo Vallepiana, unico e fantastico, roccia da urlo, esposizione assicurata, lunghezza garantita (per lo standard della Grignetta ovviamente), inizio ad essere stanco, ma lo scalare tutto il giorno mi piace, ed ogni occasione non va sprecata.

Ci ritroviamo sotto l’Ago Teresita, dove il diedro aperto nel 1929 ci impegna non poco, sulla carta queste linee sembrano molto più facili, ma quando ci si è dentro, se la carta si legge, la roccia si deve scalare.

Una stretta di mano e una promessa di ritrovarci al Rifugio Porta, Lui scende ed io attraverso e cambio versante, mi aspetta l’ultima Gandin del giorno, quella ai Magnaghi, fessura perfetta e appigli conosciuti… Mentre mi avvicino, sento le gambe sempre più dure, sento di essere un testone egoista, avrei potuto “condividere” completamente la giornata, ma non ho obbiettato sulla scelta del compagno di salire solo il non tutto.

Attacco deciso, forse troppo convinto di “fumarla” via, ma, a metà le braccia si bloccano, la spia dell’olio lampeggia pericolosamente, la stanchezza non si comanda! Mi trascino fino in cima, senza la spavalderia iniziale e senza eleganza. Seduto nel punto più alto vorrei addormentarmi, il solo pensiero di scendere mi confonde la testa. Ovviamente non posso passare la notte qui, non devo, sono talmente vicino a casa che…

Arrivo al Rifugio Carlo Porta dove trovo Silvano ad aspettarmi, due saluti ai gestori e via a bere la meritata bevanda al Forno della Grigna. Una bella giornata lunga a due passi da casa, dove i passi sono diventati tanti, uniti da trazioni, sudore e fatica!

Se apro la guida grigia trovo centinaia di combinazioni, più o meno belle. Se apro la guida grigia è per trovarle, guardo i gradi, i metri, la storia… La guida grigia l’abbiamo in tanti, quasi tutti, apritela e cercatevi il vostro concatenamento, la vostra speciale giornata. Io mi diverto, voi anche!
Buona ricerca.

Le vie di Giovanni Gandin più belle (secondo me) della Grignetta:
– la Punta Giulia, 1° assoluta il 20.06.1929 con G. Perego e R. Ponzini
– l’Ago Teresita 1° assoluta per il diedro Nord il 25.08.1929 con P. Vitali e G. Riva.
– Torrione Magnaghi centrale parete est il 06.09.1931 con R. Galbiati e Eros Bonaiti.
– Piramide Casati spigolo sud-ovest il 01.10.1933 con Ugo di Vallepiana.
– Torrione Cinquantenario Parete sud il 27.06.1932 con R. Galbiati e Vittorio Gerli.
– Torrione Magnaghi centrale (parete est (D-) il 06.09.1931 con R. Galbiati e Eros Bonaiti.
– Piramide Casati (spigolo sud-ovest (D-) il 01.10.1933 con Ugo di Vallepiana
– Torrione Cinquantenario Parete sud (TD-) il 27.06.1932 con R. Galbiati e Vittorio Gerli, ancora oggi una delle più belle vie della Grignetta.
– Torrione Magnaghi centrale (parete est (D-) il 06.09.1931 con R. Galbiati e Eros Bonaiti
– Piramide Casati (spigolo sud-ovest (D-) il 01.10.1933 con Ugo di Vallepiana
– Torrione Cinquantenario Parete sud (TD-) il 27.06.1932 con R. Galbiati e Vittorio Gerli, ancora oggi una delle più belle vie della Grignetta.

Ivo Ferrari

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Rustam Gelmanov ripete Hypnotized Minds di Daniel Woods a RMNP

Il climber russo Rustam Gelmanov ha ripetuto ‘Hypnotized Minds’, il boulder liberato da Daniel Woods nel Rocky Mountain National Park, USA, gradato 8C/8C+.

È stato il russo Rustam Gelmanov ad aggiudicarsi la prima ripetizione di Hypnotized Minds, il boulder liberato nel 2010 da Daniel Woods nel Rocky Mountain National Park e gradato originariamente 8C. Nonostante una sfilza di forti pretendenti, il problema non era mai stato ripetuto, alimentando la speculazione che potrebbe essere ancora più difficile, forse persino V16 (8C+).

Gelmanov è rimasto negli Stati Uniti dopo essersi piazzato quinto nella recente tappa della Coppa del Mondo Boulder a Vail, ed ha chiuso il boulder dopo soli tre giorni di tentativi. Il 28enne è conosciuto soprattutto come atleta di punta nelle gare, vincendo nel 2012 la Coppa del Mondo Boulder, ma i suoi veloci raid in falesia sono sempre stati produttivi, come dimostrano la ripetizione di Action Directe nel Frankenjura nel 2012 e, fino a ieri, ripetizioni di boulder fino a 8B+.

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O'Rourke: Trump driving global, U.S. economy into recession

Democratic presidential candidate Beto O’RourkeBeto O’RourkeO’Rourke: Trump driving global, U.S. economy into recession 2020 Democrats feel more emboldened to label Trump a racist Hillicon Valley: O’Rourke proposal targets tech’s legal shield | Dem wants public review of FCC agreement with T-Mobile, Sprint | Voters zero in on cybersecurity | Instagram to let users flag misinformation MORE on Sunday slammed President Trump’s tariffs on China, which he said were unsuccessful and have hurt Americans.

“I’m afraid this president is driving the global economy and our economy into a recession,” the former Texas congressman said Sunday on NBC’s “Meet the Press.”

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He added, “This current trade war with China the president has entered our country into is not working, it’s hammering the hell out of farmers across the country who do not want bail outs or payouts, [they] just want profits off what they’re growing.”

“American consumers understand these tariffs are a tax on them.”

Trump administration officials say the trade war is only hurting China, despite widespread warnings from economists that it is harming the U.S. and that the nation could be heading into a recession.

“We need to hold China accountable,” O’Rourke said, with the aid of allies to form a “united front against China.”

Trump directive ended review of ethanol requirements: report

It was a decision directly from President TrumpDonald John TrumpWarren unveils Native American policy plan Live-action ‘Mulan’ star spurs calls for boycott with support of Hong Kong police Don’t let other countries unfairly tax America’s most innovative companies MORE that ended the Environmental Protection Agency’s (EPA) review of the nation’s biofuel program, according to a Friday report from Reuters, a move that had the president siding with refineries over corn growers.

Last Friday, the EPA granted 31 exemptions to small refineries across the country, giving them a pass on blending ethanol into gasoline.

But sources told Reuters the decision signals a bigger shift within the Trump administration to favor the oil and gas sector over farmers, a group that has already been hit hard by Trump’s tariff war with China. 

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“The president has heard from all sides and in the end he has had enough of it. He called [EPA Administrator Andrew] Wheeler and gave him the green light,” a source familiar with the matter told the news service.

The U.S. biofuel program requires gas producers to add corn-based ethanol to their fuels, a program originally designed to reduce pollution and reliance on foreign oil. But the program allows EPA to give hardship exemptions to small oil refineries that make a case they are burdened by the law, a move corn farmers say reduces demand for their product.

The rule creates tension between two groups Trump views as supporters.

The president had promised corn farmers he would review the exemptions after a June trip to Iowa, according to a report from The Wall Street Journal

The decision last week angered ethanol producers.

“Just two months ago President Trump himself heard directly from Iowa farmers and ethanol plant workers about the disastrous economic impacts of these small refinery handouts. In response, he told us he would ‘look into it’ and we believed that would lead to the White House and EPA finally putting an end to these devastating waivers. Instead, the Trump administration chose to double down on the exemptions, greatly exacerbating the economic pain being felt in rural America and further stressing an industry already on life support,” Geoff Cooper, president and CEO of the Renewable Fuels Association, said in a statement at the time.

Refiners viewed the decision more positively. 

“We are pleased that EPA recognized the extreme hardship that the [Renewable Fuel Standard] program is having on small refineries. These waivers will go a long way to protecting manufacturing jobs in Pennsylvania, the Midwest, and across the country,” Chet Thompson, president and CEO of American Fuel & Petrochemical Manufacturers, said in a release.

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WaPo calls Trump admin 'another threat' to endangered species

The Washington Post on Friday lambasted the Trump administration’s “shabby hostility” toward science, calling the president and his Cabinet a “threat” to endangered species.

The paper’s editorial board condemned the administration’s move to rewrite the decades-old Endangered Species Act, arguing that President TrumpDonald John TrumpTrump watching ‘very closely’ as Portland braces for dueling protests WaPo calls Trump admin ‘another threat’ to endangered species Are Democrats turning Trump-like? MORE and the federal government have “earned little trust” that it would use the flexibility to wisely define plans for each threatened or endangered species.

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“This is an administration that regularly derides experts and ignores environmental facts — see, for example, its avowed effort to cut experts from the Agriculture Department by relocating their jobs away from Washington,” the board wrote.

The editorial board slammed comments by Interior Secretary David Bernhardt and Commerce Secretary Wilbur RossWilbur Louis RossWaPo calls Trump admin ‘another threat’ to endangered species Recession fears surge as stock markets plunge The Hill’s Morning Report – Trump moves green cards, citizenship away from poor, low-skilled MORE claiming that the rule’s rewrite would merely streamline the Endangered Species Act and allow for resources to be spent wisely.

“That sounds plausible, in theory. Given this administration’s shabby hostility toward science and expertise, it is more than worrisome in practice,” the board wrote.

The editorial comes after the Trump administration announced its rewrite of the conservation law on Monday, setting off alarm bells in the environmentalist community.

Experts and advocates have warned that the rewrite could threaten efforts to preserve the monarch butterfly and other struggling species that haven’t yet been officially labeled “endangered.” 

A new provision of the rule allows the administration to assign costs to protecting individual species. The changes also end blanket policies protecting all species designated as “threatened” in favor of crafting individual plans for each species.

Critics have cautioned that those provisions, as well as a change that would compel the government to deal with threats to species only in the “foreseeable” future, will remove some crucial protections for threatened species and slow-walk the process of determining whether a species is threatened.

“To some landowners seeking to develop their property, the Endangered Species Act no doubt looms as a frustrating bureaucratic hurdle,” The Post’s editorial board wrote. “But it exists to ensure that short-term economic considerations do not result in long-term and irreversible ecological damage. It is fair to worry that the Trump administration is once again seeking to focus on the former and ignore the latter.”

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